Se ne vanno perché in Italia non riescono a trovare lavoro e uno su tre di certo non intende tornare a casa nei prossimi cinque anni. Il motivo? All’estero lo stipendio, in media, è più alto del 61%. Ma dai dati presentati da Almalaurea emerge anche che il Sud continua a perdere diplomati e laureati e dal 2003 al 2017 tanto che, per il presidente e già rettore dell’Università di Bologna Ivano Dionigi, “fra 10 anni rischia di essere un guscio vuoto”. Inoltre le università italiane hanno perso oltre 40mila matricole, registrando una contrazione del 13%. Immatricolazioni però che tornano ad aumentare con un + 9,3% nel 2017-2018 rispetto al 2013-2014.

Il 40,8% dei laureati che ha scelto di lavorare fuori dall’Italia ha dichiarato di essersi trasferito all’estero per mancanza di opportunità di lavoro adeguate nel nostro Paese, cui si aggiunge un ulteriore 25,4% che dichiara di aver lasciato l’Italia perché ha ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero. Chi lavora all’estero, a cinque anni dal titolo, percepisce 2.266 euro mensili netti, +61% rispetto ai 1.407 euro di coloro che sono rimasti in Italia. Il Report attesta inoltre che quasi la metà dei laureati è disposta a trasferirsi all’estero per lavoro e un terzo in un altro continente. Le mete preferite sono Regno Unito, Svizzera, Germania, Francia e Spagna.

Tra i dati incoraggianti del Rapporto, il fatto che migliorano il tasso di occupazione e le retribuzioni dei neolaureati: il tasso di occupazione è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 72,1% tra i laureati di primo livello e al 69,4% tra i laureati di secondo livello del 2017. La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è nel 2018, in media, pari a 1.169 euro per i laureati di primo livello e 1.232 euro per i laureati di secondo livello. L’aumento, tuttavia, non è ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel periodo più difficile della crisi economica che ha colpito i neolaureati tra il 2008 e il 2014. Altro dato positivo è che siano dimezzati i fuoricorso e che l’età media della laurea è di 25,8 anni nel 2018, in netta diminuzione rispetto al passato. Grave infine il fenomeno migratorio dei giovani del sud e delle isole: un quarto dei diplomati al sud decide di conseguire la laurea in atenei del Centro e del Nord Italia.

“Sono molteplici i segni più: più immatricolati, più mobilità, più laureati stranieri, più esperienze all’estero, migliorano l’occupazione e la retribuzione, ma non ci sono campane da suonare a festa – ha osservato Dionigi – non sono incrementi strutturali, dobbiamo recuperare ancora il gap maturato negli anni della crisi. L’altro problema è il Sud che perde diplomati e laureati: un divario che stenta a colmarsi”. A preoccupare fortemente è l’emigrazione dei nostri neolaureati. “Per i giovani – ha commentato Dionigi – la laurea non è un passaporto ma un foglio di Daspo. Perdiamo il vero capitale del Paese, un suicidio perfetto”.

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