Se vivessero tutti in unico Paese, costituirebbero il nono Stato più popoloso del pianeta, più del doppio dell’Italia, più grande anche della Russia. Nel mondo sono 152 milioni i bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni (uno su dieci) vittime di sfruttamento lavorativo. Quasi la metà, 73 milioni, sono costretti a svolgere lavori duri e pericolosi, che ne mettono a grave rischio la salute e la sicurezza, con gravi ripercussioni anche dal punto di vista psicologico. Una piaga che riguarda anche l’Italia, dove solo negli ultimi due anni si sono registrati quasi 500 casi di occupazione irregolare di bambini e adolescenti, ma in altre aree del mondo la situazione è molto più grave. Basti pensare ad alcuni casi eclatanti, come quello dello sfruttamento nelle piantagioni di tabacco.
LO SFRUTTAMENTO NELLE PIANTAGIONI DI TABACCO, ANCHE IN ITALIA – Qualche anno, fa l’ong internazionale Human Rights Watch denunciò quello che accadeva anche in alcuni stati Usa (North Carolina, Kentucky, Tennessee e Virginia) dove i ragazzini di dodici anni potevano lavorare fino a 10 ore al giorno nelle piantagioni. Lo scorso anno la stessa organizzazione ha acceso i riflettori sulla situazione dello Zimbabwe. Una recente inchiesta del Guardian, durata tre anni, ha invece scattato una fotografia su come le multinazionali del tabacco stanno sfruttando i braccianti nei campi italiani, principalmente in Campania, dove si produce oltre un terzo del tabacco italiano. Ci sono anche bambini costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno senza contratti, né condizioni di sicurezza.
DIETRO I CIOCCOLATINI, IL LAVORO MINORILE – Recente anche la pubblicazione, sul Washington Post, del reportage di Peter Whoriskey, Rachel Siegel e Salwan Georges sul problema, di dimensioni enormi in Africa occidentale, dello sfruttamento di bambini e adolescenti nelle piantagioni di cacao. In particolare, in Paesi come in Ghana, secondo produttore al mondo di cacao. Il reportage documenta quello che viene definito il fallimento dell’impegno a porre fine alla piaga del lavoro minorile preso dalle multinazionali circa 20 anni fa. Ancora oggi, infatti, colossi come Hershey, Mars e Nestlé non sono in grado di garantire che dietro i loro prodotti venduti sugli scaffali dei supermercati di tutto il mondo non ci sia lo sfruttamento del lavoro minorile. E pensare che, secondo un recente studio della University of Arkansas, pubblicato sulla rivista Plos One, un aumento del prezzo del cacao del 2,8% potrebbe potenzialmente eliminare le più pericolose forme di lavoro minorile dalla produzione di cacao in Ghana.
I DATI NEL MONDO E IN ITALIA – Questi sono solo alcuni esempi di ciò che accade, ancora oggi, nel mondo. Secondo Save The Children, 64 milioni di bambine e 88 milioni di bambini si vedono sottrarre l’infanzia alla quale hanno diritto, allontanati dalla scuola e dallo studio. In più di 7 casi su 10 vengono impiegati in agricoltura, mentre il restante 29% lavora nel settore dei servizi (17%) o nell’industria, miniere comprese (12%). Negli ultimi due anni, in Italia sono stati accertati più di 480 casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, di cui più di 210 nei servizi di alloggio e ristorazione, 70 nel commercio all’ingrosso o al dettaglio, più di 60 in attività manifatturiere e oltre 40 in agricoltura.
Un numero senza dubbio sottostimato a causa della mancanza, nel nostro Paese, di una rilevazione sistematica in grado di definire i contorni del fenomeno. Basti pensare che secondo l’ultima indagine sul lavoro minorile in Italia, diffusa da Save the Children e Associazione Bruno Trentin nel 2013, i minori tra i 7 e i 15 anni coinvolti nel fenomeno erano stimati in 260mila, più di uno su 20 tra i bambini e gli adolescenti della loro età. “Nonostante i progressi significativi compiuti negli ultimi 20 anni – ha dichiarato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children – il mondo è ancora lontano dal raggiungere l’obiettivo di sradicare ogni forma di lavoro minorile entro il 2025, come previsto negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, e in base al trend attuale, in quella data, vi saranno ancora 121 milioni di minori vittime di sfruttamento lavorativo”.
LE AREE DOVE CI SONO MENO TUTELE – Del totale dei minori vittime di sfruttamento lavorativo oggi presenti al mondo, 79 milioni hanno tra i 12 e i 17 anni di età, mentre 73 milioni sono molto piccoli, tra i 5 e gli 11 anni, e quindi ancor più vulnerabili ed esposti al rischio di conseguenze sul loro sviluppo psico-fisico. Quasi la metà del totale (72 milioni) si trova in Africa, con Mali, Nigeria, Guinea Bissau e Ciad che fanno registrare le percentuali più alte di bambini tra i 5 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile. In questi Paesi, infatti, lavora più di un bambino su 2. Complessivamente, negli ultimi vent’anni sono stati tuttavia compiuti significativi passi avanti per contrastare il fenomeno. Nel 2000 il lavoro minorile coinvolgeva 246 milioni di bambine e bambini, 94 milioni in più rispetto a oggi.
CHI HA FATTO PIÙ PROGRESSI – In Asia centrale ed Europa orientale i progressi maggiori, con l’Uzbekistan che ha tagliato il tasso di lavoro minorile del 92% e l’Albania del 79%. Restando in Asia, anche in Cambogia e Vietnam si è ridotto nettamente, rispetto a 20 anni fa, il numero di minori coinvolti nel fenomeno, rispettivamente del 78 e del 67 percento. In Sud America e Caraibi, dove attualmente più di un bambino su 10 è coinvolto nel lavoro minorile, notevoli progressi sono stati compiuti in particolare dal Brasile che ha ridotto dell’80% rispetto al 2000 il tasso di lavoro minorile tra i 5 e i 14 anni, sebbene nel Paese oggi vi siano ancora un milione di minori costretti a lavorare. Decisi passi in avanti anche in Messico, dove il tasso (per la fascia di età 5-14 anni) si è ridotto dell’80% rispetto a vent’anni fa, passando dal 24% al 5%, con oltre 3 milioni di bambini tuttavia ancora intrappolati nella piaga del lavoro minorile.