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Marco Carta, il giudice spiega perché il cantante non doveva essere arrestato per furto

L'unico teste oculare, ossia il vigilante della Rinascente, scrive il giudice, "ha descritto un comportamento anteriore" di Carta e della sua amica di 53 anni "che ha giudicato sospetto", ma "gli elementi di sospetto" sono "inconsistenti". Per il giudice, quindi, non si può dire che la rottura delle placche sia avvenuta "in tempo successivo al primo inserimento dei vestiti nella borsa dell’imputata"

di F. Q.

Una “carenza di gravità indiziaria” rispetto al quale l’arresto di Marco Carta “non può ritenersi legittimo”. Con queste parole il giudice di Milano Stefano Caramellino ha deciso, lo scorso 1 giugno, di non convalidare l’arresto del giovane cantante accusato insieme a una donna di 53 anni di furto aggravato alla Rinascente di piazza del Duomo a Milano.

Nell’ordinanza del tribunale, diffusa solo oggi, si ricostruisce il presunto furto dal grande magazzino di 6 magliette di marca del valore di 1.200 euro. Il racconto dell’imputato, a dire del giudice, “non è allo stato scalfita da alcun elemento probatorio contrario“. E coloro che hanno provveduto all’arresto “non hanno visto alcunché dell’azione asseritamente furtiva”.

Gli “elementi di sospetto sono del tutto eterei, inconsistenti”, aggiunge. “L’unico teste oculare”, ossia il vigilante della Rinascente, “ha descritto un comportamento anteriore” di Carta e della sua amica di 53 anni “che ha giudicato sospetto”, ma “gli elementi di sospetto” sono “inconsistenti”, anche perché “è normale che due acquirenti si guardino spesso attorno all’interno di un esercizio commerciale” e l’ipotesi che “essi stessero controllando se erano seguiti da personale dipendente è formulata in modo del tutto ipotetico e vago”.

In più, anche il fatto che si siano recati in un piano diverso per provare le magliette “è compatibile con il proposito di trovare un camerino di prova libero”, dato che “grande era l’affollamento” quella sera del 31 maggio per il ‘Black Friday’. Per il giudice, poi, “il fatto che lo sguardo dell’addetto alla vigilanza non sia stato fisso sui due arrestati è riscontrato dal fatto che neanche lui ha affermato di avere visto l’inserimento degli abiti nella borsa, né egli ha precisato in mano a chi fosse la borsa dopo che era stata appoggiata nel camerino, né egli ha affermato di aver sentito alcun rumore compatibile con la rottura delle placche antitaccheggio”.

Per il giudice, quindi, non si può dire che la rottura delle placche sia avvenuta “in tempo successivo al primo inserimento dei vestiti nella borsa dell’imputata”. Carta, conclude, “non deteneva all’uscita” della Rinascente la borsa “contenente i vestiti sottratti”. Ce l’aveva, invece, la sua amica, assieme col cacciavite. Per il giudice “nessuna circostanza descritta nel verbale d’arresto”, eseguito dalla Polizia locale (il pm Nicola Rossato chiese la convalida), “costituiva sufficiente sintomo” del concorso di Carta nel furto.

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