Scienza

Scoperte nell’ipotalamo le “impronte” della memoria, ecco perché può rappresentare una svolta

Lo dimostra lo studio pubblicato su Neuron da un team di ricerca internazionale e interdisciplinare guidato da Mazahir T. Hasan, componente della fondazione scientifica basca Ikerbasque. Al lavoro ha partecipato anche Ilaria Bertocchi, ricercatrice del Neuroscience institute Cavaleri Ottolenghi (Nico) dell'Università di Torino

Scoperte nell’ipotalamo le “impronte” della memoria. Un risultato importante perché le rappresentazioni di memoria emotiva, come la paura, sono fondamentali per la sopravvivenza: consentono di percepire e rispondere alle situazioni pericolose in modo appropriato. Un tempo si riteneva che queste tracce si formassero in nuclei cerebrali superiori, mentre oggi prende forma l’ipotesi che siano coinvolte anche strutture più antiche e “primitive” nell’evoluzione del cervello, come l’ipotalamo. Lo dimostra lo studio pubblicato su Neuron da un team di ricerca internazionale e interdisciplinare guidato da Mazahir T. Hasan, componente della fondazione scientifica basca Ikerbasque. Al lavoro ha partecipato anche Ilaria Bertocchi, ricercatrice del Neuroscience institute Cavaleri Ottolenghi (Nico) dell’Università di Torino.

Questa scoperta può rappresentare una svolta nelle neuroscienze: implica infatti, secondo i ricercatori, uno scostamento dal dogma che sostiene che la memoria si formi principalmente nell’ippocampo, per essere poi trasferita e immagazzinata nella corteccia; visione che sottovaluta l’importanza di altre strutture cerebrali come l’ipotalamo, non meno capace di riorganizzare in modo dinamico i propri circuiti per consentire la formazione e l’immagazzinamento della memoria. Le cellule dell’ipotalamo contattano il nucleo dell’amigdala, che ha un ruolo chiave nell’espressione della paura. Opportunamente marcate, sono state rese capaci di esprimere, se stimolate con opportune sostanze, proteine in grado di attivare o reprimere l’attività neuronale. Questa ipotesi, secondo gli scienziati, è stata ulteriormente confermata da un esperimento: negli animali coinvolti, infatti, è stato possibile bloccare l’espressione della paura stimolando specifici neuroni; si è notato inoltre che, non appena i neuroni venivano “disattivati”, la paura tornava a manifestarsi.

La comprensione anatomica e funzionale dei circuiti che sottengono la memoria della paura favorisce lo sviluppo e l’utilizzo di nuove strategie per trattare disordini psichiatrici in continuo aumento come l’ansia generalizzata e il disturbo da stress post-traumatico, in cui la paura passa da grande risorsa per la sopravvivenza a fenomeno patologico. I ricercatori hanno potuto evidenziare e manipolare i neuroni ipotalamici che producono ossitocina – una proteina fondamentale nel controllo delle emozioni e di svariate funzioni fisiologiche – e che vengono reclutati durante l’apprendimento, la formazione e il richiamo della memoria della paura associata al contesto.

Lo studio su Neuron