“Sono un ibrido tra la musica napoletana e il rap. Sono cresciuto fondendo la pizza fritta, il rap e il presepe, o’ pazzariello e lo storyteller, la radio libera e la Cnn del ghetto”. Vincenzo Artigiano alias Speaker Cenzou arriva dal cuore del centro storico di Napoli, San Gaetano, dove i greci fondarono Neapolis, la città nuova. Il bambino cattivo del rap napoletano festeggia i suoi vent’anni di carriera con un libro, #Ammostro, e un disco, BC20 Director’s Cut. Quindici canzoni tra inediti e rifacimenti con una marea di ospiti della vecchia e della nuova scena, tra cui: Ice One, Danno, Ensi, Clementino, Rocco Hunt, Ghemon, Mama Marjas, Tormento e tanti altri. Un disco di mezzo, un ponte, un ritorno al futuro sospeso tra Napoli e New York, città unite dallo stesso parallelo, il 41esimo.
E 41° parallelo è anche il disco d’esordio, 1998, de La Famiglia, gruppo hip hop dove il bambino prodigio, Cenzou, esordisce nei primi anni 90. A soli 14 anni partecipa, al disco d’esordio dei 99Posse, Curre Curre Guagliò. Una carriera ricca di rime, beat, collaborazioni e live che fanno di Cenzou uno dei capiscuola del rap napoletano. Il suo rap è come il ragù: si cuoce lentamente, può pappuliare anche anni, ma ogni suo disco e progetto è sempre gustoso e succulento. Bc20 riparte dalle origini per ribadire ancora una volta, come tutto il Naples Power, che senza radici non si va da nessuna parte.
Cosa ami del rap e cosa odi?
Amo l’immediatezza narrativa, amo il freestyle quando è fatto in maniera impeccabile. Amo la possibilità di ricontestualizzare e dare nuova vita a musica che ho amato, addirittura facendola diventare parte di una nuova opera attraverso il campionamento. Amo l’attitudine di questo genere che per nascita e sviluppo è stato il principe della teoria del “creare qualcosa partendo da nulla.” Odio l’autoreferenzialità estrema, l’atteggiarsi, il doversi creare un “personaggio”, che pochissime volte poi corrisponde alla persona, odio di conseguenza gran parte del rap basato sull’ego trippin’. Odio i rappers che non rispettano il Rap.
Usi spesso l’espressione “sugo” per definire una che spacca: quanto sugo c’è nel rap italiano oggi?
Nel rap che io definisco tale, di sugo c’è n’è ancora un bel po’, penso a Ensi, Kiave, Moddi, Clementino, Jhonny Marsiglia, Egreen, Ntò, oppure sulla Napoli più’ attuale, Oyoshe, Dopeone, Peppoh. Il vero problema è che il rap oggi ha pochissimi spazi di visibilità e divulgazione: a parte la trap all’italiana e cose mainstream, non c’è una grande attitudine al rap reale.
La mia dicotomia (ai limiti del bipolarismo) in alcuni giorni me lo fa vedere in attivo, in altri in netta perdita. Ho sentito l’esigenza di fare entrambi i lavori all’interno di una sorta di disegno narrativo, che storicizzava tutto il periodo dei miei inizi, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’uscita di Bc20. Cerchi che si sono aperti con la scrittura e spesso si sono chiusi con le canzoni, dove ho cercato di traghettare il lettore/ascoltatore tra ciò che è stato e ciò che sarà la mia musica. Credo d’essere stato un mezzo per un fine più grande, di cui spesso intuisco la trama, ma poi mi rassegno, perché so anche che non mi è dato saperlo (sorride).
Ci sono cose che non rifaresti?
Una sola, non intalliarmi (non perdere tempo) cosi tanto tra un disco e un altro, non lasciare anni di vuoto, vanificando tutti gli sforzi fatti e ripartendo puntualmente da zero ogni volta.
L’incontro artistico più importante della tua vita?
Questa è troppo tosta, perché non penso che ci sia stato un solo incontro più importante, tutti gli incontri sono stati passaggi per arrivare a nuove consapevolezze, arricchimenti, umani e artistici: La Famiglia, I 99Posse, I Sangue Mostro, Pino, Enzo, Fino a Peppoh, e domani chissà quali altri: sono tasselli unici. ognuno a suo modo, quindi importantissimi!
Qual è la tua canzone a cui sei più legato?
Solitamente, a questo genere di domanda, istintivamente rispondo “la prossima che scrivo”, quasi a voler cercare un qualcosa a cui non mi sento ancora di essere arrivato, come sintesi della mia espressione artistica. Ma di quelle uscite attualmente mi sento legato a New Slanc, perché rappresenta un momento di rinascita emotiva e artistica, dopo una grande sofferenza.
Hai dei rimpianti?
Una marea, ma cerco di non dare troppo spazio ai pensieri negativi: per evitare di montarmi addosso quella sottile patina di pianto ‘ncuollo (piangersi addosso) ho bisogno, specie dopo tutto questo tempo, di non guardare troppo al passato e trovare dentro di me spinta e motivazioni per costruire un futuro differente. È una sfida molto grande, ma ne ho bisogno per crescere sia umanamente che artisticamente.
Quali sono i tuoi nuovi sogni?
Sogno di vivere di musica, esattamente come quando avevo 14 anni. Sogno di diventare più bravo, sogno che mi sia riconosciuto finalmente quello che nel mio piccolo ho fatto per questo genere e questa cultura. Sogno di lasciare un segno, ultimamente sogno di fare il film biopic di #Ammostro, per raccontare ai ragazzi del 2019 cosa è successo prima, o semplicemente per ispirare e motivare altri a intraprendere un percorso con una certa attitudine. Mi piacerebbe anche fare la radio. Sogno comunque di apprendere nuove forme per raccontare delle storie, che alla fine è uno dei motivi per cui molti di noi sono qui.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=AK5bOj_Jgjw