La decisione riguarda il caso di Marcello Viola, condannato per associazione mafiosa, omicidi e sequestri. Il condannato aveva fatto ricorso contro il suo ergastolo ostativo, che, secondo la Corte europea, viola l'articolo 3 della Convenzione dei diritti umani. Il verdetto è inerente al fatto che chi è condannato al carcere a vita non può ottenere alcun beneficio, a meno che non collabori con la giustizia
L’Italia deve rivedere la legge che regola il carcere a vita. A stabilirlo è la Corte europea dei diritti umani, secondo cui la legge italiana viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti: “È inammissibile privare le persone della libertà senza impegnarsi per la loro riabilitazione e senza fornire la possibilità di riconquistare quella libertà in una data futura”. La decisione riguarda il caso di Marcello Viola, condannato all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidi e sequestri. Viola aveva fatto ricorso contro il suo ergastolo ostativo, che esclude qualunque tipo di beneficio o di sconto di pena per il condannato e che, a differenza dell’ergastolo normale, non prevede alcun tipo di funzione rieducativa della pena all’interno del carcere. Secondo la Corte europea l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, che proibisce la tortura: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti“, recita l’articolo.
Il caso di un condannato per mafia al 41 bis
Marcello Viola, in carcere da 28 anni, è in regime di 41 bis dal 2000. La decisione della Corte di Strasburgo sul suo caso si basa in particolare sul fatto che chi è condannato al carcere a vita non può ottenere, come gli altri carcerati, alcun beneficio – come per esempio i permessi d’uscita, o la riduzione della pena – a meno che non collabori con la giustizia. Nella sentenza i giudici di Strasburgo evidenziano che “la mancanza di collaborazione è equiparata ad una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società” e questo principio fa sì che i tribunali italiani non prendano in considerazione o rifiutino le richieste dei condannati all’ergastolo ostativo.
La Corte osserva che se “la collaborazione con la giustizia può offrire ai condannati all’ergastolo ostativo una strada per ottenere questi benefici”, questa via è però troppo stretta. Nella sentenza si ricorda, infatti, che la scelta di collaborare non è sempre libera, per esempio perché alcuni condannati hanno paura che questo metta in pericolo i loro familiari, e che “non si può presumere che ogni collaborazione con la giustizia implichi un vero pentimento e sia accompagnata dalla decisione di tagliare ogni legame con le associazioni per delinquere”. La Corte europea, quindi, non nega la gravità dei reati commessi da Marcello Viola, ma critica che l’uomo, non avendo collaborato con la giustizia, si sia visto rifiutare le richieste di uscita dal carcere, nonostante i rapporti indicassero la sua buona condotta ed un cambiamento positivo della sua personalità.
Sul verdetto è intervenuto Patrizio Gonnella, il presidente di Antigone: “Sull’ergastolo ostativo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Viola, ha preso una decisione di grande rilievo stabilendo che la dignità umana viene prima, sempre. La dignità umana è un bene che non si perde mai. La Corte ribadisce un principio che i più grandi giuristi italiani avevano già espresso, ossia che sono inaccettabili gli automatismi (assenza di collaborazione) che precludono l’accesso ai benefici. Una persona che dia prova di partecipazione all’opera di risocializzazione deve avere sempre una prospettiva possibile di libertà. Ci auguriamo – conclude il presidente di Antigone – che il legislatore tenga conto di questa sentenza modificando le norme penitenziarie e i suoi inaccettabili automatismi”.
La sentenza della Corte non implica la liberazione di Viola, ma l’Italia dovrà pagargli 6mila euro di spese. Il verdetto, in assenza di ricorsi, sarà definitivo tra tre mesi. L’Italia era già stata condannata da Strasburgo per il regime del 41 bis: a ottobre 2018 era arrivata la condanna per la decisione di rinnovare l’applicazione del regime speciale di detenzione del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 fino alla sua morte, il 13 luglio dello stesso anno. Il tema dell’ergastolo ostativo era emerso in particolare prima della riforma dell’ordinamento penitenziario e dopo la sentenza della Corte Costituzionale che, nel 2018, aveva dichiarato incostituzionale negare i benefici ad alcune categorie di detenuti ergastolani.