Negli scorsi giorni ha fatto notizia la nave da crociera che ha urtato un battello nel canale della Giudecca, a Venezia. Quello delle grandi navi da crociera in laguna è talmente “un fenomeno becero e grottesco” che non vale neppure la pena di parlarne.

Se ve ne accenno è solo perché vorrei approfondire il tema del rapporto fra grandi navi, da crociera o cargo, e il loro impatto ambientale. Prima però un ricordo personale. Era l’inizio degli anni Sessanta dello scorso secolo quando furono varati i due transatlantici Michelangelo e Raffaello, che rinverdivano i fasti del Rex, varato negli anni Trenta. Era l’Italia del pieno boom economico e quelle due grandi navi erano l’emblema della cantieristica italiana e della trainante industria nostrana. Ma i transatlantici gemelli non ebbero lunga vita: a metà degli anni Settanta andarono in pensione, anche a causa dei loro costi e della crisi petrolifera.

Più di 40 anni dopo, le scorte di petrolio sono drasticamente diminuite in tutto il mondo, eppure i transatlantici, che adesso si chiamano “grandi navi” e sono ben più mastodontici dei loro predecessori, si sono moltiplicati. Un recente studio ci informa che sono ben 203 quelle che solcano i mari territoriali d’Europa.

Ma quanto consumano questi “mostri” del mare? “Mostri”, sì, visto che l’attuale ammiraglia della Costa Crociere, la Smeralda, è lunga 337 metri, conta 1678 persone di equipaggio e potenzialmente ben 6522 passeggeri. Lo stesso studio evidenzia che in un anno (2017) dette navi hanno emesso in atmosfera una quantità di ossidi di zolfo 20 volte superiore a quella emessa dall’intero comparto automobilistico circolante lo stesso anno nell’Unione europea (circa 260 milioni di veicoli). E proprio Venezia risulta essere in testa alla triste classifica delle città europee che subiscono l’inquinamento in atmosfera delle navi da crociera.

Il motivo è semplice: oltre a essere mastodontiche, a queste navi, quando sono in porto, è consentito utilizzare un carburante con una percentuale di zolfo (0,1% di zolfo ogni 1000 parti per milione) che è 100 volte superiore a quella ammessa, da ormai 15 anni, nei carburanti usati sulla terra ferma. E in navigazione, le grandi navi possono utilizzare carburanti ancor più inquinanti, con un tetto massimo di zolfo dell’1,5%.

Le grandi navi quindi inquinano enormemente, ma le navi cargo ancora di più. Esse infatti possono utilizzare olii con un tenore di zolfo che arrivano fino al 3,5%. In pratica, utilizzano carburanti “di scarto”, ma, in compenso, utilizzando tali carburanti-spazzatura, possono praticare prezzi altamente concorrenziali per i trasporti. Ne sanno qualcosa i merluzzi. Già, perché proprio in virtù dei prezzi bassi di trasporto, conviene spedire i merluzzi pescati dalla Scozia alla Cina affinché vengano sfilettati e ridotti in bastoncini, e poi rimandati ai supermercati e ristoranti di Scozia, piuttosto che retribuire sfilettatori scozzesi. Oppure dalla Norvegia sempre alla Cina per essere sfilettati, gonfiati di acqua e trattati con agenti chimici per essere rivenduti nei supermercati francesi.

Ovvio che in queste demenziali operazioni, riportate solo a mo’ di esempio, c’entra anche la manodopera cinese ancora a buon mercato (per quanto tempo ancora?), ma i trasporti a basso prezzo fanno la loro parte. L’inquinamento? Un costo esterno. Sono decine di anni che si parla della internalizzazione dei costi esterni dei trasporti, in particolare appunto l’inquinamento. Decine di anni di blablabla, e nel frattempo l’inquinamento continua a essere un costo invisibile. Che in realtà paghiamo tutti.

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