Un gruppo di professionisti del settore ha realizzato un questionario-inchiesta al quale hanno partecipato 718 donne e 105 uomini che si sono sentiti discriminati. E per il 65% delle lavoratrici la maternità a continua ad essere un "ostacolo in termini lavorativi e professionali"
Quando Alyssa Milano il 15 ottobre 2017 ha twittato l’espressione “Me too” forse non pensava che tutto il mondo femminile si sarebbe compattato per raccontare le esperienze di molestie o violenza sul lavoro. Perché le storie di piccoli e grandi soprusi non riguardano solo i set cinematografici o i casting, i provini e le audizioni per le tv. A tracciare l’esistenza del fenomeno anche nel settore dei beni culturali ha provveduto un questionario-inchiesta di Mi riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali, il gruppo di professionisti che dalla fine del 2015 si è riunito spinto “dalla volontà di cambiare la realtà lavorativa del settore”. Un insieme di domande fatte a chi lavora in un ambito dove domina la precarietà e che è composto in gran parte da donne.
“I datori di lavoro si aspettano quasi sempre qualcosa in cambio”, sostiene un’archeologa che racconta di una molestia sessuale avvenuta da parte di un funzionario ministeriale presso una Soprintendenza del Lazio quando era studentessa universitaria. La violenza è stata denunciata, ma il caso è stato archiviato, così che il molestatore non ha subito nessuna conseguenza. Mentre lei, al contrario, con la Soprintendenza ha chiuso. “Sono stata scelta nell’azienda per la presenza femminile che cercavano per il contatto col pubblico e anche perché il mio superiore ha un debole per me”, dichiara una storica dell’arte che lavorava in una società come “dipendente non ufficialmente assunta”. Il suo datore di lavoro le ha fatto insinuazioni di carattere sessuali che lei non ha mai denunciato “per paura di perdere il lavoro, visto che non avevo nemmeno un contratto regolare”. E ancora: “Mi è stato risposto che se avevo sopportato le molestie tanto a lungo evidentemente la situazione mi piaceva. A pochi giorni di distanza dalla mia denuncia sono stata bocciata ad un esame e mi è stato fatto capire che sarebbe stato meglio che non lo ritentassi alla sessione successiva”, racconta una studentessa che precisa: “Il docente in questione è ancora insegnante di quell’università. Stimato e stipendiato”.
Sono state 718 le donne che hanno deciso di raccontare la loro storia di molestie rispondendo al questionario, al quale hanno partecipato anche 105 uomini, pure loro discriminati. E i numeri restituiscono un quadro che si traduce, almeno in parte, in paure, precariato e umiliazioni. Un primo dato riguarda lo stato occupazionale. Tra le intervistate solo il 31,3% è “dipendente”, mentre il 23,7% è “in formazione”, il 16,75 è “lavoratore autonomo/partita Iva”, il 15,6% “in cerca di occupazione” e quasi il 12% variamente “sottoccupato”. La disciplina più rappresentata è storia dell’arte con quasi il 25%, quindi archeologia con il 15,4%, biblioteconomia con quasi il 9%, archivistica e guida turistica con oltre il 7% ciascuna. Poi ci sono anche le Discipline museali, l’Economia e management dei beni culturali, restauro, arti visive, scienze storiche e architettura.
Alla domanda “Hai mai assistito ad atteggiamenti sessisti o discriminatori da parte dei tuoi superiori, docenti o datori di lavoro?” il 40% delle donne che ha compilato il questionario ha risposto “Si, almeno una volta”, mentre il 10% sostiene di averlo verificato “spesso”. Ma ancora una volta è la maternità a creare un distinguo. Per il 65% delle lavoratrici a vario titolo continua ad essere un “ostacolo in termini lavorativi e professionali”. In quanto a molestie sessuali, verbali o fisiche, in ambito lavorativo o formativo il 20% sostiene di averle subite “più di una volta” e il 12% almeno “una volta”. I molestatori seriali sono gli uomini per l’81%, mentre le violenze risultano nel 74% dei casi “verbali” e nel 23% “verbali e fisiche”. Interessante è lo status che aveva chi ha subito molestie. Nel 31,6% era “studentessa/universitaria”, nel 31,1% “Lavoratore dipendente/sottoposto” e nel 13,6% “Autonomo/partita IVA”. Ancora più interessante però è lo status del molestatore che nel 26,1% risulta un “Dirigente/responsabile”, nel 18,8% un docente, nel 17,8% un “collega” e nel 15,4% un “Superiore non responsabile del lavoro del molestato”. Al primo posto tra gli enti nei quali è avvenuta la molestia viene segnalata l’università nel 29,5% dei casi, seguita dalla “Sede di cooperativa/impresa/fondazione” con il 15,35, dal “Cantiere” con l’11,6%, da “Altro ente pubblico” con il 10,2% e dai musei con quasi il 10%. Al primo posto per il numero di molestie ci sono il Lazio con il 18,3%, seguito dalla Lombardia con il 17,7% e quindi dal Piemonte con il 9,8% e dal Veneto con l’8,5%. Ultimi Molise, Abruzzo e Basilicata con lo 0,6%.
Oltre a questi dati, quelli più significativi sono quelli conclusivi. Quelli dai quali è necessario partire per cambiare la situazione. Quasi l’80% delle donne dichiara di non avere denunciato o reso nota la molestia. Il motivo, seppure indirettamente, lo spiega la mancata risposta o reazione da parte delle istituzioni, come si è verificato nel 65% dei casi. E anche l’assenza di conseguenze per i molestatori, impuniti nell’87% dei casi.