La parola d’ordine era diversificare. Il traffico di droga viene gestito dalla ‘ndrangheta con la stessa mentalità di un’azienda che deve ottimizzare i profitti e ridurre il più possibile i rischi. Ecco perché l’inchiesta “Edera”, che stamattina ha portato all’arresto di 30 persone con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina, ha dimostrato ancora una volta come il porto di Gioia Tauro non è l’unico sistema attraverso cui le cosche calabresi fanno entrare la cocaina in Europa. Lo stupefacente proveniente dalla Colombia e dall’Ecuador, infatti, passava anche dai porti di Rotterdam, in Olanda, e Anversa in Belgio.

L’operazione, condotta dai carabinieri del Ros, è scattata nelle province di Reggio Calabria, Milano, Bergamo, Bologna e Padova. Su richiesta della Dda di Reggio, il gip ha disposto inoltre due arresti in Olanda, uno in Colombia e uno Francia. Complessivamente sono 58 i soggetti iscritti nel registro degli indagati dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Antonio De Bernardo, oggi in servizio alla Dda di Catanzaro. L’inchiesta prende le mosse dall’operazione “Reale” ed è partita nel 2010 grazie a un’intercettazione ambientale registrata all’interno dell’abitazione del boss Giuseppe Pelle detto “Gambazza”.

“Aveva intenzione – ha spiegato Bombardieri durante la conferenza stampa – di creare nuovi canali di traffico nel Nord Italia. Per questo si era messo in contatto con soggetti legati alla cosca Barbaro di Platì”. Dalle intercettazioni, infatti, è emerso che i Pelle avevano progettato di approvvigionarsi all’estero “di un carico di stupefacente – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – per un valore di 250mila euro, trasportato in valigie preparate ed imbarcate su aerei diretti in Italia. Una volta partito il carico, i fornitori avrebbero avvisato gli acquirenti, anche via fax, indicandogli il nominativo al quale era associata la valigia in viaggio. Una volta giunta in Italia, tra gli scali più probabili quello di Milano, tale carico sarebbe stato condiviso con altri acquirenti”.

Ed è a questo punto che sarebbe entrata in gioco quella che gli indagati definiscono “una squadra organizzata” di persone che “avrebbe prelevato la valigia all’aeroporto e, dopo aver superato i controlli antidroga con la complicità di personale all’interno dell’aeroporto, l’avrebbe consegnata a persone di fiducia del boss Giuseppe Pelle”. Uomini del clan che “avrebbero poi eseguito il trasporto della loro parte in Calabria, attuando ogni escamotage per rendere non individuabile l’autovettura sulla quale sarebbe stato portato via il carico”.

Per i pm, la droga acquistata in Sudamerica era destinata alla vendita principalmente in Lombardia grazie alle locali di ‘ndrangheta legate ai calabresi. Ma anche in Veneto dove i boss della Locride hanno stabili rapporti con qualificati ambienti malavitosi locali. Il traffico erano gestito da quattro gruppi criminali, tra loro funzionalmente collegati per lo svolgimento delle attività illecite. C’è chi era attivo nell’importazione di cocaina che passava dagli scali aeroportuali o attraverso trasporti su gomma via Spagna e chi, rispondendo alle cosche di Platì, smerciava all’ingrosso in Lombardia. La terza associazione, radicata in Calabria, invece, era guidata da Domenico Ficara e dagli ex latitanti Santo Scipione e Domenico Trimboli (quest’ultimo diventato un collaboratore di giustizia dopo l’arresto nel 2013).

Avendo vissuto per decenni in Colombia, erano Scipione e Trimboli che si occupavano dei rapporti con i narcos acquistando cocaina in Sudamerica e poi esportandola in Canada e in Italia. Erano i loro i 180 chili di cocaina, nascosti dentro un container di caffè, che il 5 maggio 2013 sono stati sequestrati al porto di Gioia Tauro. “Il numero del container è stato portato in Italia da un emissario di Jegua (un fornitore colombiano, ndr). – ha riferito l’ex broker della ‘ndrangheta Domenico Trimboli – Il ritiro della droga doveva essere assicurato dai Piromalli”. Il quarto gruppo criminale, infine, era gestito secondo gli inquirenti da Domenico Strangio con soggetti legati alle cosche di Gioia Tauro e di Rosarno in grado, tra il 2011 e il 2013, di importare la droga dalla Colombia e dalla Ecuador e di farla entrare in Europa tramite non solo il porto calabrese ma anche quelli di Anversa e Rotterdam.

“Questa operazione – ha affermato il procuratore Bombardieri – sottolinea, ancora una volta, la capacità della ‘ndrangheta di essere duttile e flessibile su ogni scenario criminale transnazionale, ed in particolare nelle dinamiche del narcotraffico internazionale. Tra gli arrestati si riscontra la presenza di cognomi storici della ndrangheta ionica reggina, come i Pelle ‘Gambazza’ di San Luca ed i Trimboli ed i Barbaro ‘Castani’ di Plati’, in grado di organizzare un vero e proprio network e cointeressenze criminali con altre famiglie di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro e di Reggio Calabria”.

Per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, “l’inchiesta connota il carattere di univocità della ‘ndrangheta rispetto alla frammentazione di altre forme di criminalità organizzata. Bovalino, Buccinasco, Ventimiglia, Brescia, Padova, Ecuador, Belgio, Olanda, Germania sono le aree dove è ormai accertata la presenza di ‘inviati’ della ndrangheta, ognuno con un compito da eseguire rigidamente. Le indagini hanno inoltre posto in evidenza lo scambio continuo da parte degli arrestati di strumenti di comunicazione particolarmente sofisticati. Un problema che richiede una sempre più forte integrazione delle varie forze di polizia e nuovi strumenti giuridici a livello internazionale”.

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