Il comparto è arrivato a valere nel 2018 ben 2,9 miliardi di euro, contro i 2 miliardi di premi raccolti nel 2013. Rbm, nata nel 2011, in pochi anni è passata da outsider a leader del settore superando Generali, Unisalute e Allianz e aggiudicandosi pure la gestione del maxi fondo sanitario dei metalmeccanici. Anche quest'anno ha presentato con Censis un rapporto che sostiene l'insufficienza del Ssn e la necessità di "politiche di supporto" alla sanità integrativa da parte del governo
Solo due giorni fa la Fondazione Gimbe, nel suo quarto Rapporto sul servizio sanitario nazionale, ha lanciato l’allarme sull’eccessivo peso assunto dai fondi sanitari integrativi. Un cavallo di Troia che, grazie alle cospicue agevolazioni fiscali, “consente all’intermediazione assicurativa di invadere il mercato della salute con “pacchetti” di prestazioni superflue”. Oggi Rbm, come ogni anno dal 2010 ad oggi, ha presentato insieme al Censis un report che legge la realtà del sistema sanitario italiano e del ruolo delle assicurazioni da un punto di vista molto diverso. Quello secondo cui il Ssn non riesce a rispondere alle esigenze di una popolazione che invecchia e gli italiani sono sempre più costretti a pagare di tasca propria le cure o a rinunciarvi. Ergo conviene assicurarsi. Un punto di vista molto vicino agli interessi di Rbm, diventata lo scorso anno la prima compagnia in Italia nel business delle polizze sanitarie. Non a caso lo slogan dell’evento, battezzato Welfare day, era: “Raddoppia il tuo diritto alla salute con il secondo pilastro”. Cioè quello gestito dalle assicurazioni attraverso fondi sanitari integrativi professionali o polizze individuali.
“Quasi un italiano su 2 (il 44% della popolazione), a prescindere dal proprio reddito, nell’ultimo anno si è “rassegnato” a pagare personalmente di tasca propria per ottenere una prestazione sanitaria senza neanche provare a prenotarla attraverso il Servizio sanitario nazionale”, ha sostenuto parlando dal palco della Nuvola di Fuksas l’ad di Rbm, Marco Vecchietti. “E’ chiaro che cosi non si può continuare. Occorre pianificare un veloce passaggio da una sanità integrativa a disposizione di pochi (circa 14 milioni di italiani hanno una polizza sanitaria) ad una sanità integrativa diffusa, un vero e proprio “welfare di cittadinanza”, attraverso l’evoluzione del welfare integrativo da strumento “contrattuale” a strumento di tutela sociale“. E ancora: “Non è più sufficiente limitarsi a garantire finanziamenti adeguati alla sanità pubblica ma è necessario affidare in gestione le cure acquistate dai cittadini al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un secondo pilastro sanitario aperto”. Conclusione: “Sarebbe normale immaginare a politiche da parte del governo di supporto alla diffusione di questa importante tutela sociale aggiuntiva”.
Tutte considerazioni che inevitabilmente portano acqua al mulino del grande business delle polizze per la salute. Il comparto secondo l’ultimo rapporto dell’Ania è arrivato a valere nel 2018 ben 2,9 miliardi di euro, il 45% in più rispetto ai 2 miliardi di premi raccolti nel 2013. Compensando i gruppi assicurativi del progressivo calo dei ricavi da polizze Rc Auto. E Rbm, nata nel 2011 dopo l’acquisizione da parte del gruppo trevigiano Rb Hold di Dkv Salute dalla tedesca Munich Re, in pochi anni è passata da outsider a leader del settore con oltre 514 milioni di premi, superando le big Generali, Unisalute e Allianz. Intorno a Rb Hold, controllato e guidato dall’ex dirigente di Generali Roberto Favaretto, ruota una galassia di società attive nella gestione di fondi sanitari e strutture sanitarie convenzionate, da Previnet a Previmedical, che stando all’ultima Relazione sulla gestione del gruppo “gestisce quasi un miliardo di euro di spesa sanitaria ogni anno il che ne fa anche il più importante “gruppo di acquisto” di prestazioni sanitarie private in Italia”. Per capire che ruolo si sia ritagliata Rbm nel panorama italiano basta scorrere la lista dei fondi sanitari clienti: non solo ci sono quelli dei dipendenti Alitalia, Eni, Enel, Unicredit, Poste, Rai e Confindustria, ma si cura negli ambulatori e nelle cliniche convenzionate con Rbm anche il personale di Anac, Bankitalia, Agenzia delle Entrate, Equitalia, Consob e ministero della Difesa. In più ci sono i fondi sanitari dei rappresentanti di commercio, delle imprese artigiane venete, dell’università La Sapienza e di Roma Tre. Più ovviamente le polizze individuali, promosse con insistenti campagne pubblicitarie che promettevano coperture “a un euro al giorno“.
Ciliegina sulla torta, nel 2017 Rbm si è aggiudicata per il triennio 2018-2020 anche Metasalute, il fondo sanitario dei metalmeccanici: si tratta del più grande fondo sanitario integrativo in Europa con oltre 1.700.000 assistiti dipendenti di 30mila aziende. Dopo il passaggio di Metasalute sotto l’ombrello di Rbm, i metalmeccanici hanno segnalato disservizi nei tempi di risposta del call center e di autorizzazione delle pratiche, oltre che sulle nuove procedure per ottenere il rimborso delle cure dentarie. Nel 2018 il segretario generale Fim Cisl Maurizio Bentivogli ha scritto al cda del Fondo per verificare le condizioni per una rescissione del contratto. Oggi, secondo il sindacato, “alcuni problemi iniziali sono stati in gran parte risolti. Permangono alcuni disagi e restano alcune inefficienze da ottimizzare”. Sul fronte delle prestazioni sanitarie, “da migliorare la polizza sanitaria del Fondo che per la struttura delle prestazioni ampie è molto flessibile. Questo, se da un lato ha rappresentato un’opportunità per gli assistiti, dall’altro in molti casi ha alimentato attese non sempre legittime o applicazioni restrittive da parte del gestore“.