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Catalogna, il processo è politico: le ipotesi del Tribunale supremo sono fantasiose

Se c’è un processo, nel mondo contemporaneo, che merita più di ogni altro l’etichetta di “processo politico” è quello che si è concluso mercoledì 12 giugno di fronte al Tribunale supremo di Madrid, contro vari esponenti politici catalani, accusati di sedizione, ribellione e malversazione per le vicende che hanno accompagnato il referendum indipendentista dell’ottobre 2017.

Ho assistito alle ultime due udienze. Avevo peraltro già avuto modo di mettere in evidenza, su questo blog, come si tratti di un uso assolutamente distorto della giurisdizione penale, impropriamente utilizzata nell’ambito di un pensiero politico autoritario di derivazione neofranchista, come surrogato di quella che dovrebbe essere una normale e anzi stimolante dialettica democratica.

Si potrebbero svolgere utili riflessioni sulle ragioni del permanere di un simile pensiero politico, le cui origini si situano nell’insurrezione antidemocratica di Francisco Franco, nella conseguente guerra civile e nell’edificazione di un regime totalitario spazzato via, ma a quanto pare non completamente, dalla democrazia alla fine degli anni Settanta. E di come e perché questo pensiero politico, se tale vogliamo definirlo, si riaffaccia, non solo in Spagna, ma in tutta l’Europa dell’Est e dell’Ovest, compresa l’Italia, in un momento di grave crisi economica, sociale e ideale. Mi limiterò peraltro in questa sede a qualche notazione più specifica e di carattere prevalentemente giuridico.

Come fatto notare dai vari difensori degli imputati, i reati di ribellione e di sedizione di cui sono accusati, che prevedono entrambi pene edittali gravissime, richiedono, come elemento irrinunciabile delle rispettive fattispecie, il ricorso alla violenza. Infatti il caso paradigmatico cui riferirsi è quello del golpe tentato all’inizio degli anni Ottanta dal general Tejero della Guardia Civil, il quale a capo di varie decine di suoi sottoposti armati di tutto punto fece irruzione nel Parlamento nazionale per tentare di sottomettere i deputati alle sue volontà: ma come noto e per fortuna, gli andò male.

Nel caso del referendum indipendentista catalano siamo di fronte a una vicenda diametralmente opposta. Parliamo infatti di oltre due milioni di persone che hanno voluto esprimere la loro volontà democratica esercitando un diritto fondamentale. Senza che fosse consumata alcuna violenza degna di nota se non da parte di alcuni reparti delle forze dell’ordine, che manganellavano in modo abbastanza selvaggio gli elettori per impedire loro di deporre le schede delle urne, in qualche sporadico caso con un certo successo.

Può risultare quindi intuitivamente chiara a chiunque, anche se digiuno di studi di diritto penale o costituzionale, la portata della perversione giuridica operata da parte del Fiscal general presso il Tribunale supremo, cui si teme che quest’ultimo possa accodarsi nei prossimi mesi, addirittura prima delle vacanze estive o subito dopo, emettendo una sentenza che riconosca gli imputati colpevoli dei gravissimi delitti ascritti loro senza alcun fondamento.

Sia ben chiaro. Il comportamento del govern catalano è certamente discutibile dal punto di vista politico, come ogni atto compiuto da qualsiasi governo o parlamento del pianeta. Ed è appunto in una discussione politica che si concreta l’esercizio della democrazia. Ma sottomettere questo esercizio, specialmente nel momento – questo sì davvero supremo – del ricorso alle urne, a una valutazione di tipo penalistico, per giunta ipotizzando l’applicazione di norme come quelle invocate dall’accusa, rappresenta a sua volta la negazione piena della democrazia stessa ed evoca – non solo per la Spagna, Paese democratico, ma per tutta l’Europa, di cui la Spagna fa parte a pieno titolo da oltre 32 anni, essendone venuta a far parte il primo gennaio del 1986 – scenari oltremodo inquietanti.

L’esercizio sfrenato della fantasia da parte della Procura presso il Tribunale supremo è giunta, pur di dare un fondamento alle proprie ipotesi insurrezionali assolutamente oniriche, a inventare – oltre che l’analogia penale in malam partem (assolutamente vietata dalla Costituzione spagnola) che assimila l’esercizio del voto democratico ai crimini violenti di ribellione e sedizione – una nuova fattispecie normativa, definita per l’appunto in modo testuale dal Fiscal “violenza normativa”, che consisterebbe nell’approvazione di una legge in contrasto con alcune basi giuridiche costituzionali; insomma per l’ipotesi di norma costituzionalmente illegittima per la quale gli ordinamenti democratici sono fortunatamente soliti prevedere ben altri e più proporzionati rimedi.

Occorre auspicare che il Tribunale rigetti le ipotesi dell’accusa, ma si teme fortemente che ciò non avverrà. A quel punto occorrerà ricorrere alla Corte europea dei diritti umani che probabilmente risanerà il vulnus democratico costituito dalla sentenza di condanna. Nel frattempo, però, saranno passati vari anni, con persone innocenti in prigione e una permanente lesione della democrazia spagnola ed europea, che costituisce anch’essa un danno di valore davvero incommensurabile.