di Luigi Manfra*

Salvini ha vinto con un risultato superiore al previsto le elezioni europee. Nella Lega l’euforia è al massimo e tutti i maggiori esponenti del partito vorrebbero andare ad elezioni politiche anticipate per non perdere un’occasione, quanto mai propizia, di guidare finalmente un governo di centrodestra con una maggioranza autosufficiente. Invece il vincitore delle elezioni esita, ed ha ricucito per l’ennesima volta il rapporto con Di Maio. Per capire questa scelta è necessario far riferimento al contesto in cui si troverebbe ad operare in autunno un governo a guida Salvini. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, di recente, ha ricordato i numeri della legge finanziaria per il 2020, quando si dovranno trovare risorse per 23 miliardi al fine di evitare gli aumenti dell’Iva, a cui si aggiungono i fondi per la flat tax estesa alle famiglie e quelli per finanziare i rinnovi del pubblico impiego e gli investimenti pubblici.

Anche il presidente Conte ha rammentato, in questi giorni, il rischio che corre l’Italia nell’ipotesi di apertura della procedura di infrazione per debito eccessivo. Tale procedura, mai applicata finora nella storia dell’Unione, prevede controlli stringenti sui conti pubblici, vincolando la politica economica per molti anni, anche se il pericolo maggiore viene dai mercati e dalle agenzie di rating che, in una situazione del genere, perderebbero la fiducia sulla solvibilità dell’Italia portando alle stelle il livello dello spread.

Quale sarà l’atteggiamento dei due partiti di maggioranza di fronte a questo scenario è difficile prevederlo, ma le alternative possibili sono sostanzialmente due: tagliare le spese scatenando la proteste delle categorie colpite dai provvedimenti, o sforare il deficit pubblico che il prossimo anno potrebbe salire oltre il 3% del Pil. Entrambe le opzioni sarebbero catastrofiche per il paese, ma anche per la credibilità e la popolarità dei partiti che sostengono il governo. Inoltre come è noto le proposte della Lega riguardano soprattutto la riduzione delle tasse, tema molto popolare che Salvini cavalca con sempre più clamore, rafforzandola con l’ipotesi, semplicistica e infondata, che lasciare più soldi in tasca ai cittadini significa aumentare i consumi di beni e servizi. Ma come la vicenda degli 80 euro di Renzi insegna, questo automatismo non funziona.

Con un’economia che stenta a crescere, le aspettative dei consumatori sono improntate alla massima prudenza. Piuttosto che spendere, essi preferiscono, almeno in parte, risparmiare per far fronte ad un ulteriore eventuale peggioramento. Invece, se le stesse risorse fossero utilizzate per avviare un piano di investimenti pubblici rivolti a modernizzare le infrastrutture ormai malridotte del paese, come scuole, ponti, strade e ferrovie, e a fronteggiare il dissesto idrogeologico, lo sforamento del deficit avrebbe almeno un obiettivo più credibile in termini di crescita economica.

Ma i due partiti che sostengono il governo hanno come fine prioritario non il risanamento economico ma la ricerca del consenso, e fanno a gara nel proporre provvedimenti graditi al loro elettorato. Inoltre per quanto riguarda la Lega, oltre il 90% degli elettori è favorevole allo scontro con l’Unione europea non avendo piena consapevolezza delle eventuali conseguenze, che invece Salvini ha ben presente. Di Maio non si rende conto fino in fondo della strategia della Lega, o quantomeno pensa di poterla contrastare, mentre in realtà si avvia su una strada che presumibilmente lo porterà alla catastrofe. Dopo i risultati delle recenti elezioni, che hanno visto il dimezzamento dei voti dei Cinque Stelle, il movimento si riposiziona su posizioni di destra pensando di competere con Salvini nel rispondere a muso duro ai diktat dell’Europa. Ma non capisce che gli elettori preferiscono l’originale alla pallida imitazione proposta.

La Lega, quindi, non farà cadere il governo a breve per andare ad elezioni anticipate in autunno perché, nella ipotesi probabile di un suo successo elettorale, si troverebbe da sola di fronte alla catastrofe annunciata e ne pagherebbe da sola le conseguenze. La scelta di Salvini è, quindi, quella del male minore, cioè mantenere l’alleanza con Di Maio, cercando nell’immediato di portare a casa i provvedimenti che gli stanno più a cuore. Poi in autunno, se lo scontro con l’Unione europea dovesse realmente verificarsi o, più verosimilmente, dovesse essere necessaria una marcia indietro, come è già avvenuto lo scorso anno, per scongiurare la procedura d’infrazione e le conseguenze nefaste che ne deriverebbero sull’economia italiana, scaricare sui Cinquestelle la responsabilità del cedimento di fronte ai propri elettori.

* Responsabile scientifico del Centro studi Unimed, già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma

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