La Rete nazionale commissioni mensa che ha preso in esame 257 comuni per comprendere meglio gare d’appalto, costi, percentuale di cibo biologico e numero di cucine
La scelta di chiudere le cucine interne nelle scuole per creare grandi centri cottura non ha portato ad alcun vantaggio economico. A sostenerlo è la Rete nazionale commissioni mensa che ha preso in esame 257 comuni per comprendere meglio gare d’appalto, costi, percentuale di cibo biologico, numero di cucine. Il primo dato che emerge dalla ricerca è che i servizi di refezione scolastica sono gestiti con modalità molto diverse: nel 71,43% dei casi le amministrazioni hanno appaltato il servizio a ditte esterne tramite società partecipate o tramite le Centrali uniche di committenza. Nell’8,44% dei casi la gestione è diretta, vale a dire che i comuni dispongono in toto o in parte di personale dipendente che svolge le mansioni. Nel 3,9% dei casi, invece, abbiamo comuni che hanno stipulato concessioni pluriennali con ditte esterne.
La Rete ha analizzato le gare e i capitolati: “Come criterio di aggiudicazione – cita la ricerca – c’è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. I miglioramenti contenuti possono riguardare la qualità del cibo anche se spesso si trovano rinnovi delle strutture, manutenzioni delle attrezzature o allestimenti che non sempre hanno ricadute dirette sulla qualità del cibo servito ai bambini e rischiano di essere costi di ammortamento per innovazioni pagati direttamente dalle famiglie”. Guardando i dati emersi dal dossier si scopre che il ribasso medio non dipende dalla percentuale di biologico utilizzata: con una percentuale di biologico che va da 0 a 20% il ribasso è del 7,55% mentre con una presenza di bio che va dal 61 all’80%, il ribasso arriva a misurare il 13,03%. Non sembra esserci alcuna correlazione anche fra la grandezza delle cucine e i ribassi: “Ciò – spiega la Rete – sembra contraddire con evidenza la necessità propugnata da molti comuni di dismettere le cucine interne alle scuole ed investire in grandi centri cottura per fare economia di scala”. A parlare sono i dati: dove si preparano al massimo 1499 pasti il ribasso medio è dell’8,13%, superiore al 4,81% per 1500-2499 pasti e al 6,34% per 2.500-4.999 pasti. La correlazione tra costo del pasto e numero dei piatti serviti è opposto a quanto ci si attende: sotto ai 10mila pasti al crescere dell’utenza aumenta il costo del pasto e il costo medio sopra i 10mila pasti risulta superiore a quello dei piccoli comuni.
Ma quanto cibo biologico mangiano i nostri ragazzi? Le percentuali di bio sulle mense scolastiche evidenziano che il 25,45% delle refezioni analizzate serve una quantità di biologico del 21-40% mentre la percentuale meno rappresentata è quella che comprende una quantità che va dal 61 all’80%. “Dall’analisi che abbiamo svolto – precisa la Rete – qualunque cittadino o amministratore può così facilmente scoprire che una famiglia residente in un Comune con 1400 pasti al giorno può pagare una tariffa di 2,00 euro con l’80% di bio, 3,50 euro con il 5% e 3,83 euro con il 100% bio. Oppure che 86.600 pasti a Milano costano 3 cent in più dei 1400 giornalieri di Follonica a parità di % bio dichiarata (e due cent meno di Mogliano Veneto, che ha l’1% di biologico). Ancora più eclatante è che con la stessa ditta si possa pagare da 3 euro ad oltre 7 euro per pasti con simili richieste per il biologico e uguale ampiezza di utenza”.