Da alcuni mesi sta rispondendo alle domande dei pm di Palermo. Al centro degli interrogatori c’è la lunga latitanza di Matteo Messina Denaro ma le sue dichiarazioni sono servite anche per tracciare un profilo dell’imprenditore Vito Nicastri, il re dell’eolico arrestato ieri dalla Dia di Trapani insieme a Paolo Arata, l’ex consulente della Lega in contatto con il senatore Armando Siri. A riferire nomi e circostanze è l’architetto Giuseppe Sucameli, 71 anni, un insospettabile ex funzionario dell’ufficio appalti del comune di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. Ma anche un esponente della famiglia mafiosa mazarese, all’epoca diretta dal capomafia Mariano Agate. In carcere dal 2007, a breve potrebbe tornare in libertà. Da mesi infatti le forze di polizia giudiziaria stanno tentando di riscontrare le dichiarazioni dell’architetto, che al momento è formalmente un “dichiarante”. Nel suo curriculum giudiziario, infatti, ci sono anche alcuni dei link che portano al latitante di Castelvetrano: traffico di droga, corruzione e l’appartanenza alla massoneria.
Tra le ricostruzioni messe a verbale dall’architetto ci sono anche quelle su Vito Nicastri che tra il 2005 e il 2006, seppur non indagato, intrecciò i suoi affari con quelli di Sucameli emersi nell’ambito del blitz Eolo del 2009. Le indagini di carabinieri e Squadra Mobile svelarono che Nicastri ottenne le autorizzazioni per un parco eolico in seguito a “un vero e proprio accordo tra politici mazaresi ed esponenti della famiglia mafiosa mazarese che era intervenuta nell’affare”. Lo scorso ottobre Sucameli (che per questi fatti fu condannato a 8 anni e quattro mesi)è stato ascoltato dai pm di Palermo, coordinati dall’aggiunto Paolo Guido, con i quali ha ricostruito quelle vicende. “Nello stesso periodo – ha detto – vi erano anche altri impianti eolici in fase di progettazione tra cui quello portato avanti dall’imprenditore Saladino, sponsorizzato da Giovan Battista Agate e Antonino Cuttone. Quest’ultimo impianto si trovava nella stessa zona di quello di Nicastri e dunque erano in competizione tra loro”.
Alla fine le autorizzazioni furono affidate all’imprenditore alcamese. Ma Sucameli ha raccontato un dettaglio emerso nel corso di una delle riunioni. “Vito Martino mi disse, alla presenza dello stesso Vito Nicastri che quest’ultimo era amico dell’amico di Castelvetrano, intendendo che era molto legato al latitante Matteo Messina Denaro. Vito Nicastri ribadì che lo stesso amico di Castelvetrano sarebbe stato contento della riuscita dell’affare che stava portando avanti in tema di eolico. Successivamente incontrai Giovan Battista Agate comunicandogli la decisione di favorire Vito Nicastri e mi disse che questi era un amico, io intesi che era amico dell’associazione mafiosa”.
Il profilo di Sucameli è emerso nel corso di numerose indagini e appare di notevole spessore. Nel 2007 un’inchiesta della Dda di Palermo svelò che da funzionario comunale agevolava imprenditori di Cosa nostra, oltre che la latitanza di alcuni importanti boss tra cui Andrea Mangiaracina e Natale Bonafede. Gli agenti della Squadra Mobile lo intercettarono mentre si raccontava all’imprenditore Michele Accomando (colui che si aggiudicava gli appalti) riferendosi al padrino Mariano Agate. “Minchia, i marsalesi, palermitani e catanesi, percio: prende, minchia sono arrivato, minchia lui si alza dalla sedia, non si alzava dalla sedia, e mi viene alla porta…Pino! Architetto “beddru miu” io sono diventato tutto rosso rosso…e poi mi ha fatto sedere accanto a lui, mettiti qua Pinuzzu miu! mettiti qua! Architetto mio mettiti qua! e gli ha fatto capire a tutti che questa era cosa mia”. Nel 2010 fu condannato a 25 anni e 10 mesi di carcere per un traffico di droga tra Spagna, Marocco e il trapanese. Ma la sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte di Cassazione.
I suoi figli il 23 maggio 2013 scrissero una lettera per “chiedere scusa a tutti per lui”, riferendosi al padre. Che durante un dialogo intercettato con Accomando raccontò di una riunione nella Calcestruzzi Mazara degli Agate a cui avrebbe partecipato l’allora capo di Cosa nostra, Totò Riina. “Lo sai che ha fatto lui? Quando sono venuti, ricordo qua alla Calcestruzzi, c’era tutta mezza Sicilia! c’era Totò Riina, tutti..tutti c’erano! Campobellesi, castellammaresi”. Secondo le indagini, con Accomando condivide anche l’aderenza alla massoneria “di natura e radice imprecisata, operante in Mazara del Vallo”.