Si è svolta ieri a Roma, nella suggestiva cornice dell’Orto Botanico, un’interessante iniziativa promossa da Federbio e Cambia la Terra dal titolo: “Liberi da pesticidi: l’Italia riparte dai Comuni”; scopo del convegno è fare conoscere le pratiche virtuose adottate da oltre 65 Comuni che nel nostro paese hanno posto limiti all’uso dei pesticidi, adottando regolamenti e normative rigorose al fine di tutelare il più possibile la salute dei cittadini e la qualità dell’ambiente. Presenti rappresentanti di Ispra, Crea, Isde, Wwf, Lipu, Legambiente, Pesticide Action Network (Pan)-Europe, Comitato Marcia Stop Pesticidi, Gruppo No Pesticidi e Carlo Zaghi, Direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali. Ospiti d’onore, cinque sindaci di altrettanti comuni dal Nord al Sud (Belluno, Carmignano, Melpignano, Tollo, Vallarsa) che hanno portato le loro interessanti testimonianze, spesso fantasiose e molto diverse fra loro in funzione delle diverse realtà, ma tutte già in essere con successo.
Si va da Belluno che, temendo l’espansione dei vigneti e dei meleti, si è organizzata per dichiarare l’intero territorio provinciale al 100% bio, a Carmignano in Toscana che ha avuto il coraggio di vietare per il terzo anno consecutivo sull’intero territorio comunale – caratterizzato da una massiccia presenza del florovivaismo – l’uso del glifosate e di istituire un “apiario di comunità perché le api sono sentinelle straordinarie della qualità ambientale”. A Vallarsa, in Trentino, dove chi non coltiva bio deve attivare una polizza assicurativa per il risarcimento di spese e danni prodotti dall’inquinamento causato dalla sua attività, a Melpignano in Puglia, comune in cui si concedono terreni ai giovani e ai disoccupati a patto che coltivino biologico e piantino almeno una specie tradizionale; infine, Tollo, comune abruzzese dove i coltivatori bio danneggiati dalla dispersione accidentale di pesticidi da campi vicini hanno diritto a un indennizzo.
Queste esperienze sono più che mai importanti e rappresentano – come è emerso concordemente da tutti i sindaci – un volano economico per i territori, sia per l’offerta di prodotti agroalimentari di qualità, sia per un turismo sempre più “verde” e ambito. Queste realtà virtuose sono inoltre la concreta dimostrazione che – anche a fronte dei tentennamenti della politica – molto si può fare partendo dai territori. Attualmente il Piano di Azione Nazionale (Pan) sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi è in fase di revisione, ma purtroppo non contiene proposte concrete per tutelare la salute dei cittadini e dell’ambiente: non è infatti prevista una sensibile riduzione delle sostanze chimiche in uso e non è definito il quadro di riferimento per le distanze di rispetto dalle aree abitate e dalle coltivazioni biologiche e biodinamiche.
Eppure come ha ricordato Maria Grazia Mammuccini, portavoce di Cambia la Terra: “Con Federbio e una vasta coalizione di associazioni del biologico, ambientali e della società civile (Aiab, Associazione per l’agricoltura biodinamica, Fai, Firab, Greenpeace, Isde, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Wwf) abbiamo chiesto l’apertura di un confronto che compia passi in avanti rispetto al precedente Pan del 2014, un atto di indirizzo che di fatto non ha definito obiettivi tangibili e monitorabili di riduzione d’uso dei pesticidi di sintesi chimica e ha dato priorità a metodi che ne fanno largo uso, invece di favorire pratiche agricole rispettose della salute dei cittadini e dell’ambiente come l’agricoltura biologica e biodinamica”.
Le richieste alla politica, anche ieri emerse con chiarezza, sono puntuali e dettagliate: aumento al 40% delle superfici coltivate in biologico, eliminazione dei pesticidi dannosi per le specie protette nelle aree tutelate in base alle direttive Ue (siti Natura2000), tecniche bio per la gestione del verde pubblico e privato in città, controllo della “deriva” , ovvero della dispersione di pesticidi a seguito dei trattamenti, rispetto delle distanze di sicurezza tra case e campi dove si usa chimica di sintesi, così come tra coltivazioni biologiche e non per evitare contaminazioni accidentali.
Ancora una volta è emerso – specie grazie alla prima relazione del rappresentante di Ispra – che anche se l’Ue ha un quadro normativo in materia di pesticidi fra i più avanzati del mondo, ciò non è affatto sufficiente a garantire quell’elevato livello di protezione per la salute dell’uomo e dell’ambiente, pur dichiarato nelle intenzioni. I motivi di questo vero e proprio fallimento sono numerosi. Ad esempio:
1. si è trascurato il fatto che l’inquinamento chimico (specie da sorgente diffusa) ha un destino poco prevedibile e segue nell’ambiente percorsi inimmaginabili;
2. per le sostanze Cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (Cmr), quelle Persistenti, bioaccumulabili e tossiche (Pbt) e gli Interferenti endocrini (Ie) (quali moltissimi pesticidi) non vi sono soglie di sicurezza;
3. le valutazioni in pre-autorizzazione non sono sempre realistiche;
4. non è adeguatamente conosciuto e affrontato il problema delle miscele, di cui ho più volte parlato.
Il prezzo di tutto questo purtroppo lo paga non solo l’ambiente in termine di perdita di biodiversità, contaminazione delle falde, desertificazione dei suoli, ma ciascuno di noi in termini di perdita di salute, perché è ormai ampiamente documentato come l’esposizione a pesticidi comporti un incremento statisticamente significativo del rischio di patologie cronico-degenerative oggi in drammatico aumento quali cancro, diabete, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative, cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, infertilità maschile, disfunzioni metaboliche e ormonali, patologie autoimmuni, disfunzioni renali e rischi ancor più drammatici per la salute infantile e il neurosviluppo.
Cambiare radicalmente il modello agricolo secondo i dettami dell’agroecologia è ciò per cui noi medici Isde con convinzione ci battiamo e a questi sindaci coraggiosi va tutto il nostro plauso e la nostra riconoscenza, perché concretamente dimostrano che ridurre l’esposizione a sostanze pericolose e proteggere la salute delle loro comunità è possibile e quindi che la prevenzione primaria non è un’utopia.