Nel mondo sottosopra raccontato dai protagonisti degli incontri tra membri del Consiglio Superiore della Magistratura e deputati inquisiti, il problema sembra essere diventato la violazione delle regole sulle intercettazioni. Non c’è nemmeno il ritegno di negare certe frasi, certe insinuazioni, certe aspettative di violazione dei codici morali e normativi che sottengono l’esercizio di una pubblica funzione. Il problema che lentamente viene costruito come notizia da mettere in pasto all’opinione pubblica è che non si sarebbero potute registrare alcune frasi pronunciate da parlamentari in carica (sic) da parte di investigatori che rischiano di diventare imputati di una commedia degli equivoci dagli effetti potenzialmente devastanti.
In una intervista dai toni sinceramente surreali, l’ultimo della serie dei difensori della presunta normalità di un incontro tra vertici politici e giuridici per influenzare le nomine dei rappresentanti delle procure è stato il deputato (sic) Cosimo Ferri, ex leader di Magistratura Indipendente (sic), poi consigliere del consiglio superiore della magistratura e sottosegretario dei governi Letta Renzi e Gentiloni. Il Ferri arriva a affermare che le discussioni tra magistrati e inquisiti come il deputato Luca Lotti sono ‘fisiologiche’ e fanno parte di una normale dialettica tra persone che occupano posizioni di potere nel campo della giustizia e della politica e che comunque sarebbero i giudici a decidere le loro rappresentanze in ultima istanza per cui qualsiasi contatto precedente con altri soggetti diventerebbe legittimo e naturale.
In realtà, come ogni magistrato dovrebbe sapere a memoria uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto moderno è la separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. I motivi di tale separazione sono stati espressi nel modo più chiaro fino a oggi conosciuto da Montesquieu ne Lo Spirito delle Leggi del 1748, l’opera considerata ancora oggi come una vera enciclopedia del sapere giuridico e politico fondativa delle democrazie moderne. Montesquieu fonda il suo pensiero sul principio secondo cui “chiunque abbia potere è portato a abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti (…) Perché non si possa abusare del potere occorre che (…) il potere arresti il potere”.
Ora discutere tra chi deve giudicare e chi è indagato di nomi, candidature, opportunità di esercitare pressioni su questo o quel collega è indiscutibilmente un’azione di tradimento dell’ideale di una politica e una giustizia come strumenti per mettere al riparo i cittadini da ogni forma di arbitrio e prevaricazione che permettono ad alcuni di beneficiare di provvedimenti da cui altri sono esclusi. Quando la commistione tra i diversi poteri diventa eccessivamente elevata, l’esito è dunque la negazione dei fondamenti della democrazia. Ma la conseguenza ancora più grave è che la democrazia viene minata nella sua stessa radice. Se i cittadini non riconoscono negli istituti dello Stato di diritto i mezzi per garantire equità e giustizia, la legittimazione della democrazia e dello stato di diritto franano e si aprono le porte per fughe in avanti che non si sa dove possono finire.
Di fronte a questa evidenza basilare, quello che lascia basiti è l’incapacità di riconoscere la drammaticità degli eventi da parte dei protagonisti che addirittura rivendicano la normalità del proprio agire o si autosospendono dichiarandosi offesi di essere stati additati come cospiratori dell’ordine costituito. La domanda che un cittadino medio si pone osservando questo spettacolo decadente è come sia possibile che persone istruite e teoricamente garanti delle istituzioni non siano in grado di cogliere l’enormità e le conseguenze drammatiche delle loro azioni.
La risposta più plausibile la fornisce una storiella attribuita (anche se l’origine è discussa) allo scrittore americano David Foster Wallace che racconta dell’incontro tra due giovani pesci che nuotano spensierati nell’acqua. I due incrociano a un certo punto un pesce più adulto che proviene dalla direzione opposta che quando li vede li saluta: buongiorno ragazzi! E chiede loro: come è l’acqua oggi? I due pesci più giovani rispondono al saluto e proseguono la loro nuotata fino a che uno dei due si ferma di colpo, osserva l’altro e si chiede: l’acqua? Ma che cosa è l’acqua? La metafora dell’acqua per i pesci si riferisce al fatto che quando siamo abituati a comportarci in un certo modo o a vivere in un certo ambiente, anche la situazione più assurda e paradossale rischia di essere percepita come normale e quindi giustificabile. Sentire allora magistrati, deputati o ministri urlare allo scandalo delle intercettazioni non legali che diventano il problema di un dramma istituzionale, politico e culturale senza precedenti, dà l’idea della melma in cui si sono inabissati i rappresentanti delle istituzioni. Così fan tutti, sembra essere ormai la giustificazione che viene passata alla stampa e ai media per anestetizzare la residua coscienza di quei cittadini che vorrebbero assistere a altri spettacoli e vedere sul palco attori più presentabili e puliti di quelli che scompostamente occupano la scena.
Ma se si dovesse essere onesti fino in fondo e si avesse ancora davvero a cuore il futuro del paese, della democrazia e dello Stato di diritto, non solo bisognerebbe rigettare al mittente questa interpretazione dei fatti. Quello che sarebbe probabilmente più giusto da fare è riformare radicalmente il sistema e i meccanismi di funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura e destituire coloro che complottavano eversivamente con un inquisito per discutere di nomine di magistrati e procuratori. Il bambino della favola i ‘Vestiti nuovi dell’Imperatore’ aggiungerebbe probabilmente anche metteteli in galera e buttare via le chiavi.