Li chiama Generazione Desiderius, perché desiderano qualcosa che manca. Vogliono essere felici, indipendenti, realizzarsi. A Berlino, Riga, Siviglia, come a Dublino, Copenhagen, Atene, Praga, Varsavia, Stoccolma e Strasburgo. Un viaggio per conoscere l’Europa di chi ha tra i 18 e i 35 anni, dei giovani consapevoli di vivere tempi complesso. Edoardo Vigna, giornalista di 7 del Corriere della Sera, nel suo Europa. La meglio gioventù (Neri Pozza) ha incontrato più di mille ragazzi, consapevoli senza vendetta che davanti a loro hanno muri da scalare e difficoltà sconosciute ai loro genitori. Ma sanno anche che i confini nazionali che definiscono i loro paesi poco valgono a fronte di un’Europa che, nel bene e nel male, è il luogo che abitano. Da cui non si scappa e non si torna indietro, anche perché il passato confinato a dogane e stati nazionali è una realtà lontana. Sconosciuta.

“In Italia i giovani sono stati chiamati sdraiati o bamboccioni, ma dal mio libro emerge un’immagine diversa. Quella della meglio gioventù, che ci prova tutti i giorni”. Giovani che abitano in città che non sono necessariamente capitali (Siviglia, Strasburgo) ma che sono simboliche, ai quattro cantoni dell’Europa di oggi. Escludendo Parigi e Londra “perché sono megalopoli che non hanno una vera e propria anima”. Le differenze sono tante, così come le costantiA partire dai “consumi, che convergono verso ciò che il business cerca di spingere come musica, abbigliamento, divertimento. E ci sono anche drink che sono ormai dominanti dappertutto, come lo spritz. Pure a Riga. Persistono però realtà non omologate, dove la cultura globale non è ancora arrivata”. Ad accomunare trasversalmente i protagonisti della meglio gioventù di Vigna è “il desiderio di individuare i propri talenti e di cercare di metterli a frutto. Detesto le definizioni di ‘eccellenza’ o cervelli in fuga’, come se facessimo riferimento soltanto ai geni. Tutte le persone che decidono di lasciare il loro paese hanno un talento, come la parabola del vangelo. Questa è una costante“. Aspetto che ilfattoquotidiano.it in questi anni ha affrontato raccontando le storie di decine di expat, che ricorrono anche in tanti altri Paesi. “Ho incontrato tanti italiani all’estero, ma anche molti ragazzi di altre nazionalità. Il paese più impressionante è la Lettonia, che vive un vero e proprio esodo dei laureati. Loro, come altri loro coetanei, vanno in cerca di esperienza e di espressione di sé”. Per loro il ritorno non è un tema: vivono una visione più ampia, cercano di fare all’interno dell’Unione europea quello che li soddisfa.

L’Italia potrebbe fare molto in questo senso. E penso anche a Milano: bisogna capire come fanno altre città ad attirare i giovani. Se i modelli sono positivi si possono copiare. Guardiamo a Stoccolma, che è un alveare di aziende ad alta tecnologia in decollo verticale. E pensare che è una città che ha tre ore di luce d’inverno. Insomma, noi avremmo tante cose in più”. Vigna ha anche toccato con mano l’attenzione che la politica locale dedica ai giovani. “Ci sono municipalità che li tengono in grande considerazione, e penso soprattutto a Stoccolma, Copenhagen, Dublino. Lì sanno che i ragazzi sono una miniera di energia e creatività quindi cercano di offrire opportunità”. Aspetti sui quali l’Italia ha tanto da imparare. Ma che lavorino nelle start up o nel mondo digitale, i protagonisti della meglio gioventù hanno capito una cosa: “Sanno di essere svantaggiati rispetto ai loro genitori, ma hanno già metabolizzato. Sono padre di due figlie adolescenti e credo che non ci siamo impegnati molto per aiutare la loro generazione. Che oggi agisce come se non potesse ricevere nulla”. Secondo Vigna “da decenni non esiste una generazione che ha le loro difficoltà a comprare una casa, a farsi una famiglia. Ma non credo che si avvererà quello che mi ha detto Petros Markaris, famoso giallista che ho incontrato ad Atene. Secondo lui prima o poi verranno a chiederci il conto. E invece credo di no. Guardano avanti, verso la loro realizzazione”.

È anche questo che stupisce del ritratto itinerante di Vigna. Una grande energia nonostante le difficoltà. “Non mi aspettavo nemmeno che la cultura dello sharing venisse percepita come una leva per realizzare un proprio progetto. E non parlo solo di musica o bici: a Stoccolma ho incontrato ragazzi che mi dicevano di non avere paura nemmeno a condividere le loro scoperte, perché era dallo scambio che sentivano di potersi inventare qualcosa”. E in una società dove loro vengono chiamati “nativi digitali”, Vigna restringe il campo: “Questi sono nativi europei, una generazione che vive l’Europa come se fosse parte di sé, anche se riconoscono le loro nazionalità“. Il problema semmai è politico nella costruzione dell’identità europea. “Un’idea – propone Vigna – è portare avanti un Erasmus di cittadinanza, per chiunque abbia un progetto interessante al di là dello studio. Potrebbe essere un modo per radicare questa identità”.

Ma l’Europa che sentono i ragazzi è più vicina all’idea di unità o ai muri di Orban? “Non sono stato a Budapest – precisa l’autore – ma sono andato a Varsavia, anche in mezzo ad alcune manifestazioni. Ci sono posizioni diverse, ma è una generazione che vive un’Unione europea dove le nazionalità non sono la priorità. Io ricordo bene, invece, i confini con le frontiere, i doganieri. Un bagaglio che non fa parte della loro memoria. Dai dati delle ultime elezioni Ue, poi, i ventenni sono tornati a votare di più in tanti paesi. Un fenomeno che in Italia è meno forte, ma significa che cominciano a sentire l’importanza di non tornare al passato. Un’incognita che, peraltro, non conoscono”.

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