L’Europa deve studiare un modo per garantire che i Paesi membri abbiano “retribuzioni minime comparabili“. A sponsorizzare la proposta di un salario minimo europeo sono nientemeno che Angela Merkel ed Emmanuel Macron: il presidente francese ha rilanciato il progetto nel corso della conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) a Ginevra e questa volta ha ricevuto l’appoggio della cancelliera tedesca. L’idea era già stata avanzata anche dal vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans qualche settimana prima del voto, mentre in Italia sono stati solo i Cinquestelle a inserirla nel loro programma oltre ad aver presentato una proposta di legge attualmente all’esame della commissione Lavoro del Senato. Tra i 28 Paesi Ue, solo in Italia e in altri cinque Stati (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia) non esiste un salario minimo trasversale alle categorie.

Ora che sono passate poco più di due settimane dalle elezioni del 26 maggio, la proposta di un salario minimo europeo sembra destinata a diventare uno dei punti in cima alla lista della nuova agenda di Bruxelles. Lo è sicuramente per i socialisti: lo stesso Timmermans, da Spitzenkandidat di S&D, lo ha inserito tra gli obiettivi dei primi 100 giorni. Il problema, ha spiegato Macron, è che senza una retribuzione minima standard si rischia di vedere sempre più lavoratori di diversi Stati europei spostarsi in quei Paesi dove un salario minimo è garantito, come appunto Francia e Germania. “Non abbiamo creato l’Europa per questo”, ha detto il presidente francese a Ginevra.

La più importante novità è che si è schierata apertamente sulla stessa linea anche Angela Merkel. La cancelliera ha detto che è diventato necessario esaminare “come poter avere retribuzioni minime comparabili” in tutta Europa, prendendo in considerazione il tenore di vita dei diversi Paesi. E sempre a Ginevra ha aggiunto che l’Ue dovrebbe “almeno” garantire le stesse condizioni di lavoro “in tutta l’Unione”. Merkel d’altronde già in passato si è battuta, trovando un accordo con i socialdemocratici, per avere una retribuzione minima garantita in Germania: oggi per i lavoratori tedeschi esiste sia un salario minimo mensile sia una paga oraria minima, dal 2019 alzata a 9,19 euro.

La proposta che promuovono i due leader non prevede quindi una retribuzione minima uguale in tutta Europa, bensì parametrata alle condizioni economiche dei singoli Stati membri. Per ora non esistono dettagli, ma è qualcosa di simile a quello che è scritto nel programma M5s per le Europee: “Serve una direttiva quadro dell’Ue per i salari dignitosi che fissi minimi salariali a livello nazionale, nel dovuto rispetto delle prassi di ciascuno Stato membro – si legge – Occorre un programma europeo per il calcolo di salari dignitosi allo scopo di definire salari dignitosi ufficiali a livello di Unione su base regionale in ogni Stato membro, mediante un metodo standardizzato“.

Un rapporto pubblicato lo scorso anno dall’agenzia Ue Eurofound spiega che nella maggior parte dei Paesi europei il livello minimo è fissato su base mensile, tranne che in Germania, Gran Bretagna e Irlanda dove c’è anche un minimo orario, rispettivamente di 9,19 euro, 8,21 sterline e 9,80 euro. In Lussemburgo la retribuzione minima più alta: quasi 2mila euro al mese. In Francia il minimo è 1.498 euro al mese (1.521 da gennaio 2019), in Spagna 858 euro (1.050 da inizio anno). I più bassi in Romania (407 euro), Lituania (400 euro) e Bulgaria (260 euro). Lo stesso rapporto sottolinea che i tassi di crescita del salario minimo sono molto più elevati nei Paesi di “bassa fascia” rispetto a quelli di “fascia alta”, ma che comunque le attuali differenze non sono destinate a scomparire prima del 2045. Da qui l’esigenza di una retribuzione parametrata per i diversi Stati membri.

“Accogliamo con favore la proposta della cancelliera Merkel, ribadita anche dal presidente Macron”, scrivono ora in una nota i deputati M5s nelle commissioni Lavoro e Politiche Ue alla Camera. “Con il nostro impegno – aggiungono – garantiremo che questa misura costituisca un argine alle delocalizzazioni e al fenomeno del dumping salariale. Vigileremo per far sì che il salario minimo europeo venga effettivamente realizzato a favore dei lavoratori e non a loro svantaggio”. “Adesso però bisogna passare dalle parole ai fatti“, sottolinea in una nota l’europarlamentare pentastellata Chiara Gemma. “Serve una direttiva europea – spiega – vedremo al Parlamento europeo se i vecchi gruppi dell’establishment faranno i furbi o se inizieranno ad ascoltare le istanze dei cittadini. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo per sostenere tutti i lavoratori contro austerity e delocalizzazioni selvagge”, conclude Gemma.

Nonostante l’appoggio dei leader dei due principali Paesi europei e del vicepresidente della Commissione, la proposta promossa anche dai Cinquestelle resta però difficile da realizzare. Introducendo dei parametri a livello europeo, oltre a mettersi di traverso i 5 Paesi che ancora non hanno e non vogliono un salario minimo, potrebbero opporsi anche tutti quei Paesi che hanno sì una retribuzione minima garantita, ma molto più bassa di quella che sarebbe prevista a livello europeo, seppur condizionata dal costo della vita. Il vicepresidente della Commissione Timmermans aveva proposto, per esempio, un salario minimo che fosse all’incirca equivalente al 60% dello stipendio mediano del Paese. Prendendo questo valore come riferimento, in Bulgaria per esempio il minimo salirebbe dai 260 euro attuali a 370 euro. Cosa che inciderebbe non poco sull’attrattività per gli investitori stranieri. A Sofia sono sempre i socialisti a sostenere l’esigenza di un salario minimo europeo: alle elezioni però hanno ottenuto 5 seggi, contro i 7 andati alla coalizione dei popolari.

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