C’è un altro magistrato che lascia il posto in quello che è diventato il più grande caso giudiziario degli ultimi anni, ovvero le manovre di magistrati e politici per decidere le nomine degli uffici giudiziari. Antonello Racanelli, procuratore aggiunto a Roma, si è dimesso dalla carica di segretario di Magistratura Indipendente, la corrente di destra delle toghe che nei giorni scorsi aveva chiesto ai suoi consiglieri del Csm (citati nelle carte dell’inchiesta) di ritornare al lavoro. Con un messaggio inviato ai colleghi nelle mailing list Racanelli ricorda che “da tempo avevo manifestato la volontà di lasciare tale incarico (in occasione della scadenza del mandato avvenuta nelle scorse settimane) ed in occasione dell’assemblea generale del 5 giugno avevo già messo a disposizione il mio incarico. Motivazioni e valutazioni saranno esposte nella sede naturale, cioè nell’assemblea generale che si terrà nei giorni 5 e 6 luglio. Allo stato, dico solo che non parteciperò al ‘festival della grande ipocrisia‘ di molti esponenti di rilievo della magistratura associata”.
In realtà c’è anche il nome di Racanelli nei rapporti della Guardia di finanza sul caso: in cui secondo – quanto riportano alcuni giornali – risulta che Luca Palamara, ex presidente Anm ed ex consigliere del Csm indagato a Perugia per corruzione e altri reati, avrebbe parlato dell’esposto firmato da Fava anche con lui, in quanto supporter di Marcello Viola alla nomina di procuratore capo di Roma. L’aggiunto quale si sarebbe detto d’accordo con l’operazione suggerendo di far convocare al più presto il collega al Csm per confermare le sue accuse contro Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo, vittime di una fuoco incrociato.
“Le mie dimissioni – spiega in una nota Racanelli – prescindono da quanto avvenuto, e lo dimostrano non solo il fatto che queste arrivano in corrispondenza della scadenza naturale del mio mandato, ma anche che tale mia volontà era già stata preannunciata in più sedi. Sul merito della vicenda, posso aggiungere solamente che parlerò dopo aver letto le carte; queste, pur secretate, sono nella disponibilità di alcuni giornali. Poiché ho fiducia nella giustizia e poiché continua a vigere il principio di obbligatorietà della legge penale, auspico che ognuno faccia il suo dovere. Inoltre – prosegue – posso affermare con certezza che non ho mai parlato con Fava dell’esposto e che ne ho parlato con Palamara come con altri colleghi dell’ufficio, tra cui lo stesso procuratore Pignatone. Mi auguro che sia fatta piena luce sulle numerose vicende che sembrano emergere dalle intercettazioni e che riguardano altri colleghi”.
Nei giorni scorsi Racanelli in una intervista a Il Giornale aveva spiegato la posizione di Mi rispetto ai consiglieri, Corrado Cartoni, Antonio Criscuoli e Paolo Lepre, che si erano autosospesi. “Ai nostri tre consiglieri abbiamo rivolto un invito, saranno poi loro a decidere liberamente come comportarsi. Questo invito è stato deciso dall’organo più autorevole possibile, un’assemblea di corrente con centocinquanta magistrati presenti, e quindi è del tutto impensabile che adesso si torni indietro” aveva detto Racanelli. In realtà Cartoni e Lepre hanno scelto di lasciare il Csm. La logica era solo quello di potere.
“Dietro alla richiesta di dimissioni dei nostri consiglieri c’è anche un calcolo preciso – sottolineava Racanelli – per le regole interne al Csm, al loro posto entrerebbero i primi colleghi non eletti. Che però sono di altre correnti, e questo cambierebbe in profondità gli equilibri interni al Consiglio superiore, mortificando il voto dei magistrati italiani che appena un anno fa hanno scelto di voltare pagina. Per la prima volta il gruppo di potere che era stato egemone all’interno della magistratura, a partire da Area e Magistratura democratica, è stato messo da parte. È il gruppo che per anni ha trasformato l’Anm in un soggetto politico, che ha preteso di dettare la linea al Parlamento sulle politiche dell’immigrazione – rimarcava Racanelli – i magistrati italiani con il loro voto a nostro favore hanno detto che non ne vogliono più sapere. Utilizzare l’inchiesta di Perugia, che deve andare in fondo serenamente, per ribaltare la volontà dei magistrati italiani sarebbe un vulnus alla democrazia”. A queste posizioni tutte le altre correnti avevano protestato chiedendo che i consiglieri coinvolti, anche se non indagati, per motivi di opportunità avrebbero dovuto lasciare.