Un ripiego. Un azzardo. Una rivoluzione. Ci sono mille modi di vederla, di sicuro quella di Maurizio Sarri alla Juventus non è una scelta banale, ma destinata a cambiare profondamente i bianconeri e forse anche il calcio italiano. Dopo 5 anni di Allegri, 8 anni di vittorie trionfali in patria e cocenti delusioni in Europa, Andrea Agnelli ha scelto di cambiare tutto e ripartire dal bel gioco. Cioè da Sarri, un tecnico italiano, non giovanissimo (almeno dal punto di vista anagrafico), nemmeno super affermato (stando al palmares), per cui le idee vengono prima di tutto, forse anche delle vittorie. Praticamente l’esatto contrario di tutto ciò in cui ha sempre creduto la Juve.
Agnelli non ne ha mai parlato apertamente, chissà se lo farà adesso che i giochi sono fatti, ma è abbastanza chiaro che la scelta di voltare pagina è nata dopo la figuraccia contro l’Ajax. Se nemmeno l’acquisto (anzi, il salasso) di Cristiano Ronaldo è servito per vincere la Champions League, vuol dire che è sbagliata la mentalità. Basta partite sparagnine, difesa e contropiede, calcio all’italiana: in Europa vince chi gioca e chi diverte, come dimostrato quest’anno dal Liverpool di Klopp. Per questo è stato scelto Maurizio Sarri. L’ex impiegato di banca che dagli allenamenti del dopo lavoro scala tutte le categorie del calcio italiano fino ad arrivare a guidare la squadra più vincente e blasonata d’Italia. È una bellissima storia di calcio. L’ex rivale, simbolo del Napoli e della napoletanità, che tradisce le sue origini per accettare l’offerta del potere e del successo. È una potente storia di sentimenti e di emozioni. Nulla di tutto ciò però piace ai tifosi bianconeri, che hanno sperato a lungo nell’arrivo di Guardiola, al punto da costruirsi una loro realtà parallela. Pep avrebbe rappresentato oggettivamente un’opzione di profilo più alto: un altro grande nome internazionale, dopo Ronaldo, per far fare il salto di qualità definitivo a tutta la Juve, non solo sul campo. Un’altra storia. Ma la trattativa era impossibile, probabilmente non c’è neppure mai stata.
C’è Sarri, invece, ed è comunque una scelta forte, quasi rivoluzionaria. La Juve infatti ha sempre avuto una precisa tradizione, di tecnici pragmatici e vincenti. Del resto “vincere non è importante, è la sola cosa che conti”, spiegava Boniperti. E i bianconeri ne hanno fatto una filosofia di vita, non sempre gradevole. Allegri e Conte di recente, in passato Capello, Lippi, Trapattoni. Nessuno di loro ha mai fatto un grande calcio. Però quanti trofei hanno conquistato. Quando la società ha rinnegato la sua indole non ha mai raccolto grandi risultati: Ancelotti, considerato uno dei più grandi tecnici contemporanei, a Torino non ha vinto nulla (anzi, ha perso uno storico scudetto all’ultima giornata, nel diluvio di Perugia). Ancora peggio andò a Gigi Maifredi: la sua sfortunata esperienza nel ’90-91 (settimo posto finale e mancata qualificazione europea per la prima volta dopo 28 anni) è diventata proverbiale.
Già, proprio Maifredi è il paragone più evocato per Sarri (ovviamente dai suoi detrattori). Un tecnico caratteriale, ideologico, votato al bel gioco, che arriva in una grande piazza dove la vittoria è imprescindibile e si lascia travolgere da qualcosa di più grande di lui. È possibile. Ci sono tanti, piccoli e grandi elementi che giocano a suo sfavore. I trascorsi napoletani, che i tifosi bianconeri non hanno dimenticato (figuriamoci perdonato) e sono pronti a rinfacciargli alla prima sconfitta. La scarsa attitudine a reggere la pressione, già dimostrata a Napoli e in una certa misura pure in Inghilterra. La sua rigidità tecnico-tattica, che mal si concilia con l’ambiente bianconero, dove troverà grandi campioni, alcuni molto più grandi di lui, che non accetteranno facilmente i suoi schemi dogmatici. Ve lo vedete voi Cristiano Ronaldo allargarsi, pressare o rinunciare ai suoi cento tiri a partita perché glielo chiede un mister che fino a cinque anni fa allenava in Serie D, mentre lui già vinceva Champions e Palloni d’oro?
Sarri può essere il nuovo Maifredi, è vero. Ma può anche consacrarsi come il nuovo Arrigo Sacchi, altro paragone che gli è già stato riconosciuto. In Italia nessuno negli ultimi vent’anni ha fatto vedere il calcio che ha giocato il suo Napoli. Lo chiamano perdente, ma al suo primo anno al Chelsea, tra mille peripezie, un ambiente ostile e una squadra non proprio attrezzata, ha vinto l’Europa League. Sfigura al confronto dei suoi predecessori, ma in fondo nessuno dei vari Trapattoni, Lippi, Conte, Allegri aveva vinto nulla o quasi (giusto uno scudetto Allegri al Milan) prima di approdare in bianconero. Raccoglie un’eredità pesante, quella di otto scudetti di fila, che però porta in sé anche una discreta dose di rimpianti e frustrazioni europee. In fondo è per questo che è stato scelto, per rompere con un passato che evidentemente non è stato così trionfale come dice il palmares. Se non funzionerà, può azzerare le gerarchie della Serie A e restituirci un campionato vero, forse addirittura porre fine all’egemonia bianconera ora che l’Inter con Antonio Conte ha provato ad accorciare il gap dalla vetta. Se invece funzionerà, può trasformare la Juve in una squadra divertente, oltre che vincente, magari persino in Europa dove nemmeno CR7 è bastato. O tutto o niente. Sarà comunque uno spettacolo. Come sempre con Maurizio Sarri.