Società

Professione: umarell

Ne è passata dell’acqua sotto ai ponti da quel 4 febbraio 2005 alle otto e mezzo di mattina in quel di Rastignano (Bo), paese famoso a livello nazionale grazie al rapper Trucebaldazzi, quello di “Vendetta vera, non finirò in galera”.

Io ero lì, nel parcheggio del cinema Starcity che stavo scattando foto. Era tutto ghiacciato. E poi c’era lui, un umarell che portava a passeggio il suo cane.

Mi si avvicina e mi fa “Scusi lei, cosa sta fotografando?”

“Sono foto per il giornalino della parrocchia” gli dico (mentendo)

“Ah” fa lui, prima di allontanarsi poco convinto da quella risposta farlocca.

Stavo aspettando un cliente (umarell pure lui) che con puntualità umarellica mi raggiunse e mi fece salire in auto, ma prima di questo, io pigliai un giornaletto freepress e lo inserii furtivamente in un cestino.

Io e il cliente partiamo. Dallo specchietto retrovisore osservo l’umarell con il cane che inserisce le mani nel cestino per controllare cosa vi fosse, magari della droga. E invece niente. Solo una rivista freepress.

Questo episodio mi fece molto ridere e nel pomeriggio decisi di parlarne nel mio blog LO SPETTRO DELLA BOLOGNESITÀ e fu lì che usai per la prima volta la parola umarell. Ovviamente fu un trionfo.

Appropriandomi di una parola bolognese dispregiativa (umarèl), ne avevo stravolto il significato e l’avevo impropriamente utilizzata per dare un’etichetta spiritosa (e positiva) a ciò che un nome non aveva, ovvero i pensionati brontoloni, territoriali, a spasso da mane a sera con le mani dietro la schiena, sempre pronti a dare consigli agli operai al lavoro nei cantieri.

Di questi individui avevo valorizzato in particolare modo l’aspetto “welfare”, ovvero il fatto che aiutano i nipoti mentre noi andiamo a lavorare in cerca di improbabili realizzazioni e spesso mantengono sia noi che i nipoti.

Non pago, avevo aggiunto una “elle” alla parola “umarèl” e addirittura una “esse”, per farne il plurale all’inglese.

Nacquerò così gli umarells e il mese dopo nacque il loro blog e due anni dopo l’omonimo libro UMARELLS, quello che mi ha consacrato nell’Olimpo dei milioni di scrittori e dell’antropologia urbana (spero un giorno di avere una laurea honoris causa per il mio lavoro sugli umarells).

Fu subito un trionfo. Radio e Tv mi contesero da subito.

I primi a notare la portata del fenomeno umarells furono La Pina di Radio Deejay, Gianluca Nicoletti di Radio 24, Federico Taddia e Matteo Caccia di Radio 2 Rai, seguorono Gene Gnocchi, Enrico Bertolino, Stefano Bartezzaghi, Massimo Gramellini, solo per fare alcuni nomi.

E poi le collaborazioni con Burgerking, il premio Umarell San Lazzaro che ha consacrato Franco Bonini l’umarell più famoso d’Italia (in tv al mio posto ci va sempre lui), una Piazza dedicata agli Umarells nel rione Cirenaica a Bologna, il premio PINO ZAC nel contesto del premio nazionale della Satira a Forte dei Marmi nel 2017 solo per dirvene qualcuna.

A distanza di 14 anni da quella geniale intuizione e da quello stravolgimento del linguaggio (i puristi del dialetto bolognese sono un po’ arrabbiati con me), non passa giorno che un quotidiano nazionale o un sito internet non parli degli umarells e delle loro gesta eclatanti.

Ogni giorno ce n’è una.

Umarells a Bari, umarells ad Avellino, umarells a Sondrio, umarells a Ferrara, umarells a Rapallo… non più solo a Bologna e provincia, in tutta italia si parla di umarells, parola che a breve approderà sul dizionario della lingua italiana.

Non vedo l’ora.

Ma perché piacciono così tanto? Perché sono vivi, perché sono gli angeli delle città, perché sono un valore, anzi un patrimonio dell’Unesco.

Ma attenzione. L’umarellismo è uno stile di vita, un X-Factor che ce l’hai o non ce l’hai, mica basta essere in pensione per diventare un umarell. Niente di più sbagliato.

L’umarell contemporaneo ogni giorno deve combattere tante insidie e con l’allungamento della vita media deve affrontare la più insidiosa: il deterioramento cognitivo.

Un vero casino.

Sottovalutatissimo.

E per fortuna c’è chi corre ai ripari, tipo a Pisa dove le qualità degli umarells, la loro curiosità e lo spirito di osservazione vengono valorizzate all’interno del progetto «Urban Health – Movi-menti», promosso dal Centro Nazionale per la Prevenzione e Controllo delle Malattie del Ministero della Salute.

Una fugata totale con umarells protagonisti e collaboratori degli amministratori locali e regionali per progetti di “rigenerazione urbana”.

In pratica, gli umarells vengono coinvolti ascoltati e grazie alla loro saggezza, ma soprattutto alla cultura e alla conoscenza del territorio dove ogni mattina si incontrano vis à vis (altroché i social not-work), possono dire la loro e agire concretamente sulla riorganizzazione delle aree urbane.

Dicono che in questo modo il deterioramento cognitivo verrà definitivamente sconfitto e io ci credo di brutto.

Anzi, spero che questo ambizioso progetto venga esteso a tutte le città d’Italia che ne abbiamo tutti da guadagnare.

Ne sono sicuro.

Parola di antropologo urbano.