L'ex capitano: "Se ho preso questa decisione è evidente che c’erano dei problemi interni. Qualcuno doveva uscire, mi sono fatto da parte io". Il club: "Sua percezione fantasiosa e lontana da realtà. Speriamo che non sia un’anticipazione inopportuna di un tentativo di acquisizione"
“Alle 12.41 del 17 giugno ho dato le mie dimissioni dalla Roma”. Francesco Totti se ne va, un’altra volta: “Ma oggi potevo anche morire, era meglio“. “Lascio perché mi hanno tenuto fuori da tutto”, spiega. Prima il lento, straziante addio di Totti. Poi la burrascosa separazione da De Rossi. Adesso anche il divorzio dal Totti dirigente. James Pallotta ce l’ha fatta: in meno di dieci anni è riuscito a deromanizzare la Roma. Di quel legame ancestrale tra la maglia e la città, fatto di giocatori che sono anche i primi tifosi, non è rimasto quasi più nulla. Via anche Ranieri, di cui più di qualcuno invocava la riconferma dopo un finale di stagione tutto sommato dignitoso, resta solo “core de nonna” Florenzi, che comunque non ha certo lo spessore e il carisma (per non dire la classe) dei suoi predecessori, e chissà quanto ci sarà ancora. La grande conferenza stampa al salone d’onore del Coni è soprattutto un atto d’accusa: “Non è stata colpa mia prendere questa decisione. Non ho avuto mai la possibilità di esprimermi, non mi hanno mai coinvolto in un progetto tecnico. Il primo anno ci può stare, il secondo avevo capito cosa volessi fare ma non ci siamo mai trovati, mi tenevano fuori da tutto”. Ce l’ha col presidente James Pallotta, ovviamente. Ce l’ha soprattutto col suo consigliere Franco Baldini, “testa grigia” dell’universo giallorosso: “Con lui un rapporto non c’è mai stato e mai ci sarà, perché se ho preso questa decisione è evidente che c’erano dei problemi interni. Qualcuno doveva uscire, mi sono fatto da parte io”.
La causa e l’effetto, l’origine e la fine di questo tormentato rapporto la spiega proprio lui: “Levare i romani dalla Roma è sempre stato un pensiero di qualcuno, alla fine sono riusciti a ottenere quello che volevano”. Già, in tutti questi anni la ‘Roma ai romanisti‘ è stato più di un semplice slogan. C’era qualcosa di romantico, un’idea del calcio come appartenenza e identità che va oltre il gioco, lo sport, le vittorie. Nessuna squadra italiana ha mai avuto nulla del genere. Però se parliamo di pallone quest’anima romanista è stata forse più un limite che un vantaggio. Nelle decisioni societarie e nei regolamenti di conti all’interno dello spogliatoio, dove nulla poteva muoversi senza l’ok dei senatori. Nei rapporti con gli allenatori e nelle scelte sul mercato, guai a comprare un altro centravanti o regista che facessero ombra al Capitano e al Capitan Futuro, processi sommari per una panchina di troppo. Persino nelle prestazioni sul campo, nelle partite decisive e nei derby giocati male perché troppo sentito (ricordate quando Ranieri nel 2010, l’anno del quasi scudetto contro l’Inter di Mourinho, fu costretto a sostituirli nell’intervallo contro la Lazio?).
Ora tutto questo finisce. Pallotta (o chi per lui, dal ds all’allenatore) saranno liberi di fare le loro scelte. Certo è una libertà comprata a carissimo prezzo, visto che il rapporto con la tifoseria, già ai minimi termini, adesso è forse irrimediabilmente distrutto. Resterà per sempre ricordato come il presidente che ha messo alla porta Totti, non una ma due volte. Accantonati i sentimentalismi, poi, bisognerebbe anche distinguere fra i due addii, molto diversi tra loro. Il Totti calciatore ancora tutti lo rimpiangono. Del dirigente non si può dire la stessa cosa. Lui dice che non gli hanno mai fatto far nulla, ma cosa sapesse o volesse fare non è del tutto chiaro. Guadagnava circa 600mila euro l’anno (che sarebbe diventati un milione col nuovo incarico da direttore tecnico), occupava una casella ingombrante nell’organigramma societario. A fronte di cosa, però? Non si è mai capito per davvero, forse più per colpa della società (che non ha definito un ruolo preciso) che per demeriti suoi. Il dubbio però resta. In queste prime due stagioni dietro alla scrivania lo si è visto soltanto in un paio di occasioni, quando c’era da protestare davanti ai microfoni per (presunti) torti arbitrali, oppure per metterci la faccia e provare a calmare l’ambiente nei momenti più difficili (vedi l’esonero di Di Francesco). Uno scudo umano, più che un dirigente insomma. Quando invece ha provato a incidere, vedi i contatti con Antonio Conte e la trattativa fallita per portarlo nella Capitale, lo ha fatto con evidente scollamento col resto della società (ovvio che il tecnico chiedesse delle garanzie che lui da solo non poteva dare), rimediando una figuraccia nazionale.
La società forse non gli ha mai dato un ruolo vero e il potere promesso. Che il Totti dirigente sia all’altezza del Totti calciatore, però, non è scontato. Se ne andrà prima di poterlo dimostrare. “Anche da fuori continuerò sempre a tifare, è un arrivederci non è un addio, perché è impossibile tenere Totti fuori dalla Roma”. Un po’ una promessa, un po’ una minaccia. Magari un giorno tornerà per davvero (“ma con un’altra proprietà”, specifica, la condanna più pesante che potesse mai emettere contro Pallotta). Per fare il dirigente vero, però, e non la bandiera. Quelle nel calcio moderno non esistono più. Nemmeno a Roma.
La replica della società arriva in serata: “Il club è estremamente amareggiato nell’apprendere che Francesco Totti ha annunciato di lasciare la Società e di non assumere la posizione di direttore tecnico dell’As Roma – si legge in una nota – Gli avevamo proposto questo ruolo dopo la partenza di Monchi ed eravamo ancora in attesa di una risposta”. “Riteniamo che il ruolo offerto a Francesco sia uno dei più alti nei nostri quadri dirigenziali: una posizione che ovviamente richiede dedizione e impegno totali, come ci si aspetta da tutti i dirigenti all’interno del club”, spiega la società giallorossa.
“Eravamo pronti – assicura la Roma – a essere pazienti con Francesco e ad aiutarlo a mettere in pratica questa trasformazione da grande calciatore a grande dirigente. Il ruolo di direttore tecnico è la carica in cui credevamo potesse crescere e in cui ci siamo proposti di supportarlo durante la fase di adattamento”. “Nonostante comprendiamo quanto sia stato difficile per lui decidere di lasciare l’As Roma dopo trent’anni, non possiamo che rilevare – si legge ancora – come la sua percezione dei fatti e delle scelte adottate dal club sia fantasiosa e lontana dalla realtà“.
“Riguardo ai ripetuti riferimenti al suo possibile ritorno con l’insediamento di una nuova proprietà, in aggiunta alle informazioni raccolte da lui stesso in tutto il mondo circa soggetti interessati al club, ci auguriamo – dichiara la società – che questa non sia un’anticipazione inopportuna di un tentativo di acquisizione: scenario che potrebbe essere molto delicato in considerazione del fatto che l’As Roma è una società quotata in borsa. La proprietà non ha alcuna intenzione di mettere la Roma in vendita adesso o in futuro”. “Auguriamo a Francesco buona fortuna per quello che deciderà di fare”, conclude la nota del club.
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