Le lancette del conto alla rovescia avviato dall’Iran per tornare ad arricchire le proprie riserve di uranio continuano ad andare avanti e la Repubblica Islamica aumenta la pressione sull’Europa, unico partner rimasto, insieme alla Cina e alla Russia, nell’accordo sul nucleare (Jcpoa), dopo l’abbandono voluto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Entro dieci giorni, infatti, l’Iran supererà il limite delle riserve di uranio a basso arricchimento consentiti dall’accordo sul nucleare del 2015, secondo quanto riferito dal portavoce della Agenzia iraniana per l’energia atomica, Behrouz Kamalvandi, durante una visita di giornalisti locali al reattore ad acqua pesante di Arak, mostrata in diretta dalla tv di Stato. Una forzatura, quella di Teheran, che non è stata ben accolta, però, dalla Gran Bretagna che ha dichiarato di essere “pronta a tutte le opzioni” nel caso in cui gli ayatollah decidessero di procedere con l’arricchimento oltre i limiti consentiti dall’accordo.
“L’Ue ha un tempo limitato per adempiere ai suoi obblighi nel quadro dell’accordo sul nucleare ed è meglio che si assuma le sue responsabilità nel poco tempo rimanente, altrimenti l’intesa crollerà”, ha detto il presidente iraniano, Hassan Rohani, incontrando a Teheran il nuovo ambasciatore francese Philippe Thiébaud. “La situazione attuale è molto critica – ha poi aggiunto -e la Francia e gli altri firmatari dell’accordo hanno possibilità molto limitate di svolgere un ruolo storico nel salvare l’accordo. Imporre sanzioni su beni come le medicine e il cibo è disumano e mostra che la guerra economica degli Usa è contro ogni singolo iraniano”. Dal canto suo, l’ambasciatore di Parigi ha riconosciuto che finora “l’Iran ha adempiuto a tutti i suoi obblighi nell’ambito dell’accordo” e assicurato che “la Francia non risparmia alcuno sforzo per proteggere l’intesa, che è sostenuta dalla comunità internazionale”.
Anche il capo di stato maggiore delle forze armate di Teheran, il brigadiere generale Mohammad Bagheri, interviene nel dibattito dicendo che “visto che l’Iran è un Paese potente, se dovesse deciderlo potrebbe apertamente e completamente ostacolare le esportazioni di petrolio dal Golfo Persico. E per farlo non avrebbe bisogno di alcun inganno o segretezza, al contrario dei terroristi americani e dei loro mercenari regionali e internazionali che vogliono destabilizzare il mondo”.
Nel maggio dello scorso anno gli Stati Uniti si sono ritirati dall’intesa (Jcpoa) e da allora la Repubblica Islamica chiede ai Paesi rimasti (Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Cina) di soddisfare le sue richieste in ambito petrolifero e bancario, bilanciando in questo modo gli effetti delle sanzioni ripristinate dall’amministrazione Trump. Gli europei “o non vogliono fare qualcosa o non sono capaci di farla”, ha affermato il portavoce dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica, Behrouz Kamalvandi. “Abbiamo quadruplicato il ritmo di arricchimento – ha detto – e accelerato ancora la produzione, quindi in 10 giorni supereremo il limite consentito di 300 chili. Ma c’è ancora tempo, se i Paesi europei agiscono”, ha aggiunto.
Sforare la soglia imposta dall’intesa per Kamalvandi è un “bisogno della nazione”. Secondo la sua spiegazione, l’Iran necessita di uranio arricchito al 5% per la sua centrale nucleare di Bushehr, porto nel sud del Paese sul Golfo Persico, e fino al 20% per un reattore a Teheran a scopi di ricerca scientifica. Stando alle prescrizioni dell’accordo sul nucleare del 2015, invece, Teheran può produrre solo uranio a basso arricchimento, cioè entro il limite del 3,67%, e le sue riserve non devono superare la soglia di 202,8 chilogrammi. Finora, la Repubblica islamica ha rispettato questi limiti e gli altri obblighi del Piano d’azione globale congiunto (Jcpoa). “Abbiamo aspettato un anno, era la nostra ‘pazienza strategica‘”, ha detto Kamalvandi
Lo strappo di Teheran ha in realtà il duplice scopo di chiedere che sia garantito il dividendo economico dell’intesa accettato quattro anni fa in cambio della riduzione del suo programma nucleare e di mettersi al riparo dagli effetti delle sanzioni americane. Nei giorni scorsi il portavoce della diplomazia iraniana, Abbas Mousavi, ha accusato: “Nonostante i tanti discorsi e le dichiarazioni politiche, gli europei non hanno sinora rispettato i loro impegni nel quadro del Jcpoa e quelli annunciati dopo il ritiro illegale degli Stati Uniti dall’intesa”.
Per questo, già l’8 maggio il presidente Rohani aveva lanciato un primo ultimatum di 60 giorni ai partner ancora legati all’accordo sul nucleare iraniano, riscuotendo l’appoggio di Mosca, il grande alleato della Repubblica Islamica nell’area mediorientale, che aveva esortato i Paesi dell’Unione a dimostrare di voler rimanere aggrappati all’intesa: “Ci aspettiamo che anche le nostre controparti mantengano le loro promesse, soprattutto gli europei che si sono offerti volontari per trovare una soluzione al problema causato dagli americani”, aveva dichiarato il ministro degli Affari Esteri, Sergej Lavrov.
Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione europea, ha fatto sapere però che i Paesi Ue non prenderanno decisioni basate sugli annunci delle parti in causa, ma solo in base alle relazioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Iaea): “Su quella base – ha precisato – per ora l’Iran sta rispettando l’intesa e speriamo continui a farlo in pieno. Il nostro obiettivo è mantenere in piedi l’accordo”.
Gran Bretagna pronta a reagire in caso di violazioni di Teheran
Le parole del portavoce iraniano hanno provocato la reazione della Gran Bretagna. Il portavoce della premier uscente Theresa May, dopo le forti accuse nei confronti di Teheran dopo l’attacco alle due petroliere nel Golfo dell’Oman, ha fatto sapere di essere “stati chiari nell’esprimere le nostre preoccupazioni. Se l’Iran dovesse cessare di rispettare i suoi impegni, dovremmo valutare tutte le opzioni disponibili”. Parole che rischiano di creare una nuova spaccatura tra Iran e 5+1, dopo l’addio voluto da Trump, e che rischiano di compromettere i rapporti con i Paesi europei se non si cercherà subito un punto d’incontro sull’accordo.
E il ruolo di mediatori potrebbe essere ricoperto proprio dai partner russi che, per bocca di Dmitri Peskov, portavoce di Vladimir Putin, hanno fatto sapere di credere che l’Iran sia il Paese più controllato dalla Iaea e che stia rispettando gli obblighi assunti con il Piano d’azione congiunto globale (Jcpoa): “La più recente ispezione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e il relativo rapporto – ha affermato – hanno riconosciuto che l’Iran rispetta pienamente i suoi obblighi. Noi agiamo sulla base di questo”.
Il problema è che, anche sull’episodio delle due navi nel Golfo dell’Oman, il governo Tory si è spostato nettamente sulle posizioni statunitensi, in contraddizione con le reazioni perplesse espresse da altre cancellerie europee rispetto alla accuse Usa all’Iran. Il ministro degli Esteri, Jeremy Hunt, e altri esponenti del Foreign Office hanno definito “quasi certa” o “abbastanza certa” la presunta responsabilità di Teheran nell’attacco alle petroliere, anche se solo per esclusione. Tesi ribadita anche lunedì dal sottosegretario agli Esteri britannico, Harriet Baldwin, al suo arrivo al Consiglio Ue: “Nel fine settimana siamo arrivati alla conclusione che siamo abbastanza certi che” l’attacco alle petroliere “sia stata un’azione dell’Iran. E siamo pronti a fare in modo che questo corridoio marittimo chiave resti aperto al traffico internazionale”.
E contro l’Iran si è scagliato anche il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha chiesto alla comunità internazionale di “imporre immediatamente le sanzioni che erano state concordate in precedenza” se il Paese “dovesse concretizzare le sue attuali minacce e violare l’accordo sul nucleare. In ogni caso, Israele non permetterà a Teheran di ottenere armi nucleari”.