Residui chimici di marijuana, risalenti al 500 a. C., sono stati rinvenuti nella Cina occidentale all’interno di bruciatori per incenso apparentemente utilizzati durante riti funebri. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, condotto congiuntamente dall’Accademia cinese delle Scienze, l’Accademia cinese delle Scienze sociali, il Max Planck Institute for the Science of Human History e l’Università del Queensland, secondo il quale potrebbe trattarsi del più antico caso di utilizzo della cannabis per le sue proprietà psicoattive.
La scoperta coinvolge dieci bracieri in legno conservati all’interno di otto tombe nel cimitero di Jirzankal, sulle montagne del Pamir, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang. Circa 70 i reperti recuperati fino a ora, tra cui perline di vetro, arpe, pezzi di seta, ciotole e piatti di legno, mentre il ritrovamento di teschi e ossa con perforazioni e tagli parrebbe confermare la diffusione di sacrifici umani. “Possiamo iniziare a ricostruire un’immagine più precisa dei riti funerari che includevano fiamme, musica e fumo allucinogeno, tutti elementi finalizzati a guidare le persone in uno stato mentale alterato”, spiegano gli autori nello studio, secondo i quali la cannabis veniva bruciata su delle pietre e inalata probabilmente per comunicare con l’aldilà.
Steli e semi di cannabis erano stati rinvenuti precedentemente in alcuni siti funerari in Eurasia, ma i ritrovamenti nel cimitero di Jirzankal non solo testimoniano l’utilizzo diretto della pianta nei rituali primitivi, ma estendono anche geograficamente il suo impiego nell’ex Turkestan orientale, area oggi corrispondente all’estremo occidente cinese ma per usi e costumi più vicina all’Asia Centrale di quanto non lo sia al resto del paese. Come spiega Inkstone, piattaforma online lanciata dal quotidiano hongkonghese South China Morning Post, il sito in questione sarebbe appartenuto alla popolazione nomade indoeuropea degli sciti, che più di 2000 anni fa usavano spostarsi dal Mar Nero al Celeste Impero. Di loro e del loro utilizzo della marijuana scrisse per primo Erodoto intorno al 440 a. C. nel suo Storie. Questa è la prima scoperta archeologica – effettuata grazie alla metodologia analitica del gas massa – in grado di confermare quanto sospettato per anni dagli esperti.
Ma non è tutto. Mentre nell’antichità la canapa veniva usata comunemente in molte parti del mondo nella produzione di tessuti, in cucina e per scopi medici, la maggior parte delle specie selvatiche adoperate conteneva solo piccole quantità di tetraidrocannabinolo (Thc), principale costituente fisiologicamente attivo della canapa indiana cui si devono gli effetti psicoattivi. Da dove proveniva, dunque, la marijuana allucinogena degli sciti? Secondo quanto ipotizzato dai ricercatori, l’altitudine elevata (oltre 3000 metri sul livello del mare) combinata a forti radiazioni ultraviolette avrebbe portato alla formazione di un ceppo con livelli di Thc simili a quelli contenuti nella cannabis consumata oggi. Solo una volta selezionata e addomesticata, la pianta sarebbe poi stata trasportata dai nomadi attraverso le rotte commerciali lungo l’antica Via della Seta che dalla Cina arrivava in Occidente.