Una nuova onda perlomeno anagrafico-culturale che sta riscrivendo ascisse e ordinate proprio di questi ultimi quindici venti anni di mercato e cultura cinematografica italiana. Con una premessa, infine, l’elenco da imparare come l’Inter dello scudetto con Castellitto, Garrone, Guadagnino, Placido e Sorrentino
Non c’è cinema senza autori… e senza generi. Al 55esimo Pesaro Film Festival fanno sul serio. Il dibattito sì, e sarà il 22 giugno dalle 10 del mattino ad libitum. E pure un librone monografico intitolato: Ieri, oggi e domani – Il cinema di genere in Italia, edito da Marsilio. Tra le pagine e gli interventi qualche certezza e molte speranze sul cinema di genere nella traballante industria cinematografica italiana attuale. Un capezzale sempre pieno di parenti in visita, di medici pronti a dare nuove ricette, di santoni del passato pronti a sentenziare. Anche se alla fine il malato continua ad avere quella tossina che non va mai via.
I curatori del volume Pedro Armocida (che di Pesaro è direttorissimo) e Boris Sollazzo la chiamano “l’era di Jeeg Roobot” e ne coordinano una perlustrazione attenta e precisa che diventa preziosa constatazione dello stato dell’arte partendo, appunto, dai coraggiosi Gabriele Mainetti, Matteo Rovere e Sydney Sibilia; passando dalle produzioni Wildside di Gianani/Martani/Mieli (e non più Brizzi) o Indigo di Cima/Giuliano; arrivando a sceneggiatori come Nicola Guaglianone e al terzetto cine-tv Rampoldi/Sardo/Fabbri.
Una nuova onda perlomeno anagrafico-culturale che sta riscrivendo ascisse e ordinate proprio di questi ultimi quindici venti anni di mercato e cultura cinematografica italiana. Con una premessa, infine, l’elenco da imparare come l’Inter dello scudetto: Castellitto/Garrone/Guadagnino/Placido/Sorrentino, ovvero “un gruppo di registi che ha utilizzato il genere, travestendolo da cinema d’autore, come un cavallo di Troia, per ridare forza al cinema più generale”. “Abbiamo scoperto che no, il genere non ha salvato il cinema italiano. Ma forse ha contribuito a farlo sentire meglio, più apprezzato, meno ghettizzato dal proprio stesso pubblico: parliamo di sensazioni e non di numeri, ancora impietosi – spiegano nel volume Armocida e Sollazzo – Il genere ha fatto meglio agli autori che al pubblico, sporadici ma interessanti successi hanno dato una maggiore libertà a chi crea di esplorare nuove-vecchie aree di produzione e narrazione e allo spettatore di fidarsi un po’ di più”.
“Non c’è una New Cinecittà all’orizzonte, non ancora almeno – concludono – ma c’è una nuova generazione che è cresciuta con Jeeg Robot e Chris Columbus, che è diventata grande con Breaking Bad, che non ha più paura di andare altrove e non è ossessionata dal confronto con la grande madre della commedia all’italiana”. Pesaro, ovviamente, non vive di solo dibattito. Fino al 22 giugno 2019 tra Corti in Mostra, gli Sguardi sul Cinema Spagnolo Contemporaneo, un Concorso con un elenco di lungometraggi che staziona tra Asia e Sud America con volontaria stizza selettiva, e un incontro con Amir Naderi – genio anticonformista e anticapitalista come non ne esistono più al cinema, giurato del Concorso insieme all’ingiustamente dimenticata Olimpia Carlisi –, Pesaro sciorina anche una serie di storici filmoni di genere, nemmeno fossimo alle matinée degli anni settanta: Banditi a Milano di Lizzani, Milano Calibro 9 di Di Leo e Sette Note in nero di Fulci. Per info: www.pesarofilmfest.it