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Csm, Genchi: “Trojan nelle intercettazioni? Fanno giustizia ma inquietano perché uso è delegato a privati”. E ricorda Falcone

L’uso dei trojan nelle intercettazioni? L’aspetto che più mi inquieta è il fatto che l’uso dei trojan è delegato a soggetti privati fuori dall’arco istituzionale“. Sono le parole dell’avvocato Gioacchino Genchi, intervistato nella trasmissione “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus.

L’esperto informatico spiega: “L’attivazione e la disattivazione dei trojan, operazioni fondamentali per l’ottimizzazione delle intercettazioni, sono affidate a soggetti ausiliari e questo mi preoccupa, perché sono soggetti fuori dal contesto istituzionale, non hanno prestato giuramento di fedeltà allo Stato, non sono soggetti alle regole previste per gli ufficiali infedeli, come i carabinieri, i poliziotti e gli stessi magistrati. Non capisco perché lo Stato non investa le proprie risorse e la propria intelligence nella tecnologia informatica. Non capisco perché le sale delle intercettazioni delle Procure debbano essere affidate in appalto a privati. Il privato risponde alle logiche del profitto. Un imprenditore che non risponda a queste logiche non è un imprenditore”.

Sulle ultime vicende relative al Csm, Genchi osserva: “I trojan fanno un po’ di giustizia sostanziale per la prima volta nella magistratura. Finora la categoria dei magistrati si è posta quasi al di sopra della legge, più dei parlamentari. Adesso vengano intercettati anche loro. Facciamo un po’ di giustizia a quelle tante persone che sono state condannate, alcune giustamente, altre un po’ meno giustamente, attraverso le intercettazioni. Quindi, non capisco perché anche i magistrati non debbano pagare le proprie colpe”.

E aggiunge: “I magistrati sono sopravvissuti alla crisi dei partiti. Con la Prima Repubblica, nel giro di pochi mesi, sono finiti tutti i partiti e gli unici che sono sopravvissuti sono stati proprio le correnti della magistratura, che hanno operato con gli stessi metodi, se non forse peggiori di quelli adottati dai partiti della Prima Repubblica. Io sono una persona che ha pagato per quello che ha fatto, e cioè per aver difeso la giustizia. Ho visto morire persone per le quali avevo lavorato, come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino“.

Genchi rivela: “Mi ricordo quello che mi disse una sera Falcone. Era profondamente amareggiato e sconfortato: concorreva per dirigere l’ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e i suoi colleghi del Csm ancora una volta lo bocciarono. Mi disse: “Ho più paura dei miei colleghi che pensano di aver vinto il concorso per diventare Dio di quanto non ne abbia della mafia“. Si riferiva a quei magistrati per i quali la legge era un accessorio da applicare solo agli altri, spesso i nemici e gli avversari. Il 23 maggio 1992 – continua – Falcone è stato ucciso dalla mafia, ma era già morto perché era stato ucciso professionalmente dai suoi colleghi della magistratura. Falcone accettò l’incarico offertogli da Claudio Martelli al ministero di Giustizia perché non aveva più chance, lo avevano bruciato tutti. Quei tutti che poi io ho visto ai suoi funerali o che oggi hanno la sua foto sulla scrivania”.

Il giurista si pronuncia anche sull’allarme dei magistrati, per i quali col 5g le attività investigative e le intercettazioni saranno più difficili: “E’ sempre stato così. Le nuove tecnologie hanno sempre creato problemi alle intercettazioni. C’è un’ingegneria del bene e una del male che si rincorrono. Alla fine il modo per intercettare il 5 g sarà trovato. Sicuramente col 5g sarà più facile utilizzare i trojan”.