Quale sarà il ruolo dell’Italia nel G20 di fine giugno in Giappone? In base all’esperienza, per ottenere risultati abbiamo bisogno di una buona immagine del nostro paese nel mondo e un presidente del Consiglio autorevole. E ci serve un alleato potente.
di Greta Ardito e Mariasole Lisciandro (Fonte: lavoce.info)
Il percorso del G20
È la prima volta che il Giappone detiene la presidenza del Gruppo dei 20 (G20), il forum internazionale che riunisce leader, ministri delle finanze e governatori delle banche centrali di 19 paesi, oltre all’Unione europea.
Nel complesso il G20 rappresenta più dell’80 per cento del Pil e del commercio mondiale, e due terzi della popolazione del pianeta.
Dalla sua nascita la rilevanza del forum è stata mutevole e a tutt’oggi non è sempre chiaro quale sia il suo peso nello scacchiere internazionale.
La creazione del G20 venne annunciata dai ministri delle Finanze del G7 nel 1999, con l’obiettivo di affrontare le sfide poste dalla crisi finanziaria e valutaria scoppiata in Asia. Il G20 nacque come un meccanismo di dialogo informale tra economie a rilevanza sistemica, per discutere di stabilità economica, crescita sostenibile e creazione di una nuova architettura finanziaria globale. La prima riunione si tenne a Berlino nel dicembre 1999, ma soltanto in seguito alla crisi finanziaria del 2008 venne istituzionalizzato come principale forum di cooperazione economica e finanziaria a livello globale, con il G8 che stava diventando sempre meno rappresentativo dell’ordine mondiale ed economico.
A partire da novembre 2008 si inanellarono molti vertici a distanza di pochi mesi e durante questi meeting i leader del pianeta riuscirono ad accordarsi su un approccio comune alla crisi: un pacchetto di misure fiscali congiunte volte ad alleviare la recessione in corso, insieme a un impegno a evitare l’errore commesso durante la grande depressione del 1929 di trincerarsi dietro ai dazi.
Dopo questo successo riconosciuto, si legge in un approfondimento dell’Ispi, l’efficacia del G20 è andata progressivamente affievolendosi. Con il passaggio dalla gestione di un momento di crisi a una progressiva ripresa e stabilizzazione dell’economia globale, la sensazione è che i leader del G20 siano sempre meno disposti a giungere a compromessi e, di conseguenza, che l’utilità di questo organo decisionale sia messa in discussione.
Il funzionamento del G20
Il G20, così come il G7/G8, è un forum di discussione informale privo di un segretariato e di uno staff permanente: l’agenda del Gruppo e le sue attività vengono stabilite dalla presidenza di turno, in consultazione con gli altri paesi membri e in continuità con la presidenza precedente. L’informalità dovrebbe permettere in teoria di raggiungere un ampio consenso sulle più importanti questioni economico-finanziarie internazionali attraverso il dibattito libero tra i membri. Soprattutto a partire dal 2011, si è poi assistito a una progressiva estensione dell’agenda anche a tematiche non economiche e alla costituzione di gruppi ministeriali su sviluppo, energia, cambiamento climatico, salute e uguaglianza di genere.
Durante tutto l’anno, in preparazione del vertice finale dei capi di Stato e di governo, si riuniscono i cosiddetti “sherpa” (stretti collaboratori dell’esecutivo), i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali, altri ministri e gruppi di lavoro specifici. Al vertice partecipano i capi di Stato e di governo, l’Unione Europea e alcune organizzazioni internazionali, come Fmi e Ocse. Le dichiarazioni finali del vertice non hanno carattere vincolante, ma indicano l’indirizzo politico da seguire.
Sempre secondo l’Ispi, tra i motivi indicati dagli stessi sherpa per la scarsa capacità decisionale del G20 due sono i più importanti: i membri sono troppo eterogenei, con interessi spesso non allineati; e i temi in agenda sono troppi e troppo variegati. I due punti portano a una riflessione sul ruolo del G20 e sulla sua legittimità.
Quale ruolo per l’Italia?
All’interno del G20 l’Italia esercita un ruolo che dipende molto dalla distribuzione dei pesi tra i partecipanti, dall’agenda dei singoli summit e dal contesto internazionale nel quale si svolgono. Infatti, i posti in prima fila sono solitamente occupati dai maggiori paesi in termini di peso politico, economico e demografico, come Stati Uniti, Cina, India e, per l’Europa, Germania e Regno Unito.
Tuttavia, con un occhio alle dinamiche e agli esiti dei summit, si nota che lo spazio che l’Italia riesce a ricavarsi è stato talvolta significativo.
Nei G20 immediatamente successivi alla crisi finanziaria, l’Italia era in sintonia con gli altri paesi europei, che propendevano verso una regolamentazione e supervisione finanziaria più stretta. Ma con l’inizio della crisi del debito sovrano, e con il governo Berlusconi IV fortemente indebolito e prossimo al tramonto, il nostro paese si è di fatto ritrovato escluso dalle stanze dei bottoni: i vertici del biennio 2010-2011 hanno visto protagonista la visione rigorista dell’asse franco-tedesco, con l’Italia unico dei paesi periferici a firmare il comunicato finale.
Ma il ruolo cambia e trova nuova forza negli anni successivi, quando il premier Mario Monti viene individuato come possibile mediatore tra la visione più rigorista della Germania e quella di stimolo sostenuta dagli Stati Uniti e poi anche dalla Francia. Il credito dell’Italia ritrova linfa grazie anche alla figura di Mario Draghi, che con il suo whatever it takes (“La Bce farà tutto il necessario”) argina la forte crisi del luglio 2012.
Negli anni successivi, fuori dall’emergenza della crisi dell’eurozona, la spinta propulsiva del G20 funziona a corrente alternata e l’agenda è sempre più catturata dalla tensione geopolitica del momento. Tuttavia, in questi anni l’Italia, e soprattutto l’allora premier Matteo Renzi forte del suo 41 per cento alle elezioni europee del 2014, riesce a ritagliarsi un posto più di spicco nello scacchiere internazionale. Nel vertice del 2014, grazie anche alla sponda degli Stati Uniti, spinge per vincoli meno stringenti sulla spesa pubblica, e li ottiene.
Per arrivare fino ai giorni nostri, in cui il vertice tenuto a Buenos Aires ha portato per l’Italia dei buoni risultati (in termini di impegni a ridiscuterne e niente di più, sia chiaro) sui temi di immigrazione, clima e commercio.
Cosa influenza il peso dell’Italia
L’Ispi ha tentato di individuare alcuni fattori che in generale possono influenzare l’esito delle proposte avanzate dai governi italiani. Sicuramente l’immagine del nostro paese nel mondo è una condizione dirimente: è importante non solo il ruolo del presidente del Consiglio in carica, la sua buona reputazione e autorevolezza presso gli altri leader, ma anche la stabilità del suo governo.
Inoltre, serve la credibilità costruita sulla base del rispetto degli impegni presi. Secondo l’ultimo Compliance report del G20, dal 2012 l’Italia ha imboccato un trend in discesa sugli impegni effettivamente rispettati (figura 2), che l’ha portata da un picco del 90 per cento a un minimo del 66 per cento, risultato che fa del nostro paese ultimo in questa classifica di credibilità.
Inoltre, quasi sempre l’Italia ha avuto bisogno di una spalla, ossia dell’aiuto di una grande potenza per raggiungere risultati significativi.
In questo momento, è difficile affermare che il governo Conte abbia tutti questi requisiti: è isolato in Europa e nel mondo e non è famoso per il rispetto degli impegni presi. Inoltre, alimenta il suo consenso sulla base di dinamiche interne e, in un paese già poco interessato di per sé a questi vertici internazionali, il G20 di fine giugno in Giappone non può rappresentare in alcun modo una grassa fattrice da voti. Riesce quindi difficile immaginare come il governo Conte potrà lanciarsi nei preparativi del G20 del 2021 a presidenza italiana, considerando che in ambito internazionale ultimamente non fa che ergere muri.