Il bello (e il brutto, forse) del basket è tutto lì, quando a 3 minuti e spiccioli dalla fine della partita Sassari  fa ballare Venezia come mai aveva fatto prima: dentro, fuori, Mcgee libero da dietro l’arco per il -1. Niente, palla sul secondo ferro. Dall’altra parte la Reyer sale senza spingere, un passaggio, Daye da 8 metri: canestro. Più 7. Tempo per recuperare, quando mancano poco meno di 180 secondi, ci sarebbe anche. Ma per come è andato il match fin a quel momento, con l’Umana sempre avanti e sempre in controllo, è chiaro che gara5 resterà in Laguna.

E allora facciamoli, i complimenti, a coach Walter De Raffaele. Che molti reputano antipatico (le lamentele per l’arbitraggio a ogni post partita sono fuori luogo ma possono far parte di un “gioco” psicologico) ma che senza dubbio si sta dimostrando, se ce ne fosse bisogno, bravo. Pronti via, in quintetto inserisce Gasper Vidmar, il gigante sloveno, che annulla (e di conseguenza fa innervosire) Jack Cooley, pedina fondamentale per Gianmarco Pozzecco in stagione e nei playoff (in gara4 aveva chiuso con un 18+9). Risultato? Il centro della Dinamo segna i primi 2 punti dopo 33’30” di gioco (finirà con 4, 2 rimbalzi, -1 di valutazione). Julyan Stone, invece, è prima sulle tracce di Jaime Smith, che infatti scompare. Poi su quelle di Dyshawn Pierre, che chiude il match con appena 4 punti. L’unico a tenere i suoi a galla è il solito, a tratti immarcabile, Rashawn Thomas (20+10) e nella seconda parte Marco Spissu (17, con 3 su 5 da 3).

La Reyer, avanti 3 a 2 nella serie, ha allungato una mano sullo scudetto. E lo ha fatto con il fondamentale che le riesce meglio: la difesa. I 40 minuti di gara5 lo dimostrano: la Dinamo ha perso più palloni (16 a 10 il computo finale) ma ben 7 nel primo quarto, quando gli orogranata hanno scavato il primo solco (sulla falsariga delle partenze vincenti in gara4 e 5 contro Cremona); per lunghi tratti gli uomini di Pozzecco non solo non hanno trovato il fondo della retina, ma non hanno visto proprio il ferro, sparacchiando da dietro l’arco senza muovere la palla e creare vantaggio; nei momenti decisivi, infine, ha tenuto le mani sul ritmo della partita, lasciando ai sardi solo 12 punti nell’ultima frazione. Da qui, il responso più significativo: Sassari vince se, e soltanto se, segna almeno 80 punti (80 in gara2, 95 in gara4). Mettendo a referto 65 punti, come ieri sera, contro Venezia ne perde 10 su 10. Le note positive per Thomas e compagni, per guardare con maggiore serenità la prossima gara in cui i passi falsi non sono ammessi: avanti nei rimbalzi  (43 a 34) e a un passo dall’aggancio nonostante una percentuale da 3 punti per buona parte di match imbarazzante (6/23 alla fine, 26%).

Il Poz a fine partita ne ha per tutti. E perde la testa. Il motivo, almeno all’inizio, è l’infortunio di Stefano Gentile, avvenuto per un comune contatto di gioco con Mitchell Watt, ma che molti hanno reputato ai limiti della sportività. Da lì è un crescendo, tra attacchi e parolacce, contro l’omologo avversario e la presidenza veneta, che a ogni post partita protestano per i troppi falli fischiati a favore di Sassari, e contro il Taliercio, “un catino in cui non è possibile disputare una finale scudetto”. Nei contenuti, Pozzecco, ha ragione. Il problema sono modi e atteggiamento, al di sopra delle righe, che un professionista non può permettersi (anche perché rischia di fare il “gioco” degli orogranata). Aspettiamoci, a questo punto, un PalaSerradimigni infuocato e dieci leoni (Gentile permettendo) con la maglia biancazzurra.

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