“ArcelorMittal Italia resta fiduciosa che venga ripristinata la certezza del diritto nell’interesse dell’intero contesto economico italiano e degli stakeholders, permettendo ad ArcelorMittal Italia di continuare a gestire lo stabilimento e completare il piano di riqualificazione ambientale”. È un auspicio minaccioso quello dei nuovi proprietari dell’acciaio di Taranto. Il gruppo indiano, infatti, in una nota stampa ha inviato un vero e proprio ultimatum al Governo affinché modifichi il Decreto Crescita e ripristini l’immunità penale per i vertici della società impegnata nella gestione dell’ex Ilva di Taranto.
Nella lettera agli organi di informazione, Arcelor ha spiegato di aver manifestato al Governo italiano “le proprie preoccupazioni” in merito al Decreto Crescita evidenziando che se “dovesse essere approvato nella sua formulazione attuale, la disposizione relativa allo stabilimento di Taranto pregiudicherebbe, per chiunque, ArcelorMittal compresa, la capacità di gestire l’impianto nel mentre si attua il Piano ambientale richiesto dal Governo italiano e datato settembre 2017”. Per la società, quindi, senza lo scudo penale introdotto dal Governo Renzi per i Commissari straordinari e poi esteso anche ai nuovi acquirenti dello stabilimento, nessuna società sarebbe in grado di portare a termine il risanamento della fabbrica. “Lo stabilimento di Taranto – si legge infatti nella nota – è sotto sequestro dal 2012 e non può essere gestito senza che ci siano le necessarie tutele legali fino alla completa attuazione del Piano ambientale”.
La volontà del vice premier Luigi Di Maio di cancellare il “salvacondotto” per ArcelorMittal è un colpo di mano che cambia le carte in tavola: “Il Decreto Crescita, nella sua formulazione attuale, cancella – scrive la società indiana – le tutele legali esistenti quando ArcelorMittal ha accettato di investire nello stabilimento di Taranto. Tutele che è necessario restino in vigore fino a quando non sarà completato il Piano ambientale per evitare di incorrere in responsabilità relative a problematiche che gli attuali gestori non hanno causato”. Ed è per questo che la società ha in modo sottile evocato il principio della responsabilità contrattuale: eliminando lo scudo che alla società era stato garantito da un contratto firmato dall’ex ministro Carlo Calenda, l’Italia rischia di incorrere in una responsabilità che potrebbe anche portare alla risoluzione del contratto e quindi alla maxi richiesta da parte di Arcelor Mittal di risarcimento delle spese affrontate e del mancato guadagno futuro. Una possibilità che secondo fonti ben informate al momento non è assolutamente nelle intenzioni di Arcelor che anzi punta a investire per lungo tempo sul sito tarantino. Ma con l’immunità.
A garanzia del salvacondotto, inoltre, era intervenuta anche l’Avvocatura di Stato confermando proprio a Di Maio che la protezione da responsabilità penali per i vertici dell’impresa era da considerarsi valida fino alla piena attuazione del piano ambientale prevista per 2023. Il cambio di rotta voluta dal ministro dello Sviluppo Economico, quindi, stravolge tutto. Il Decreto Crescita, come sottolinea nella sua nota Arcelor, deve essere approvato entro il prossimo 29 giugno e la società chiede che l’immunità possa essere confermata fino al termine dei lavori. Un tentativo per avviare una trattiva col Governo? Forse. Poche ore fa era stato l’ex ministro Maria Elena Boschi, come documentato dal quotidiano TarantoBuonasera, ad avviare un’iniziativa dello stesso tipo: la deputata del Partito democratico aveva presentato un emendamento al dl Crescita per chiedere di eliminare il terzo comma che fissa la scadenza dell’immunità al 6 settembre 2019 prolungandola fino al 2023. Dopo il parere contrario, a nome del Governo, del sottosegretario Alessio Mattia Villarosa, l’emendamento è stato respinto. La nota stampa di Arcelor è giunta poche ore dopo. Coincidenze.