Nel primo trimestre 2019 l’occupazione è lievemente aumentata sia rispetto al quarto trimestre 2018 sia su base annua. Rispetto agli ultimi tre mesi del 2018 le posizioni a tempo indeterminato stando ai dati destagionalizzati delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro sono salite di 207mila mentre quelle a tempo determinato si sono ridotte di 69mila. E sono calati di 20mila unità anche i lavoratori in somministrazione, dopo 23 trimestri di crescita. Lo indica la Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da Istat, ministero, Inps, Inail e Anpal. Il calo delle posizioni lavorative a termine è il primo dal secondo trimestre 2016. Va sottolineato che i dati delle comunicazioni obbligatorie sono molto diversi da quelli Istat – che sul primo trimestre davano un aumento complessivo degli occupati di 25mila unità per effetto di un aumento dei permanenti e di un calo degli a termine – perché riguardano tutte le attivazioni, proroghe e trasformazioni di contratti da parte dei datori di lavoro.
Il vicepremier Luigi Di Maio ha commentato scrivendo su facebook: “Ci hanno attaccato in ogni modo, hanno profetizzato l’Apocalisse. Ecco i dati reali: in Italia ci sono più persone con un lavoro e soprattutto con un lavoro di qualità, perché aumentano anche i contratti stabili, che danno la possibilità di progettare la propria vita. Questo è il senso di tutto, specie per i giovani: progettare un futuro! Ecco come stiamo cambiando il Paese con il Decreto Dignità e questo è un messaggio che dovrebbe arrivare alle malelingue, quelle che dicevano, tra le altre cose, che con questo decreto avremmo distrutto l’Italia. Forse abbiamo distrutto il loro giocattolo, quello dei precari e degli sfruttati!. I prossimi passi: giù le tasse, lotta agli evasori e subito il salario minimo, perché è inaccettabile che ci siano milioni di persone che prendono ancora 3 o 4 euro l’ora! Siamo in un Paese civile, dove deve esistere il lavoro, ma non a qualunque costo. Non a prezzo della dignità”.
La crescita dei posti stabili e il calo di quelli precari sono influenzate dal “notevole aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato (+223mila, +55%)“, nota il rapporto, “che raggiungono il livello massimo della serie storica“. L’incidenza delle trasformazioni sul totale degli ingressi a tempo indeterminato (attivazioni e trasformazioni) raggiunge il 28,5% con un incremento di 6,5 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Nel complesso l’occupazione rispetto al quarto trimestre 2018 è cresciuta dello 0,4% e su base annua dell’1,1%. Questo in un contesto di lieve aumento congiunturale del Pil (+0,1%) dopo due trimestri di leggero calo (-0,1%).
Il tasso di occupazione destagionalizzato si porta al 58,7% (+0,1 punti in confronto al trimestre precedente) come sintesi dell’aumento di quello femminile e della stabilità di quello maschile. L’indicatore supera di oltre tre punti il valore minimo del terzo trimestre 2013 (55,4%) tornando ai livelli pre-crisi e sfiorando il livello massimo del secondo trimestre del 2008 (58,8%).
L’andamento dell’occupazione è differente a seconda della fascia di età. Tra i giovani di 15-34 anni l’occupazione e il relativo tasso aumentano sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto a un anno prima mentre i disoccupati, sia nei valori assoluti sia nel tasso, diminuiscono in entrambi i confronti. Nella classe di età 35-49 anni, malgrado il calo del numero assoluto di occupati in entrambi i confronti, il tasso di occupazione rimane stabile rispetto al trimestre precedente e aumenta su base annua. Prosegue, infine, la crescita del tasso di occupazione tra gli over 50 su base annua mentre l’indicatore rimane stabile rispetto al trimestre precedente.
D’altra parte, le variazioni assolute dei tre aggregati per classe di età risentono della dinamica della popolazione sottostante. Nel caso dei 35-49enni, ad esempio, a fronte di un calo di popolazione annuo del 2,2%, la variazione tendenziale nel numero di occupati è meno intensa (-1,2%), e sarebbe stata positiva (+1%) in assenza del calo demografico. Sempre al netto della componente demografica, la diminuzione dell’inattività sarebbe stata meno intensa per i 15-34enni e per i 35-49enni e avrebbe riguardato anche i 50-64enni.