Nella sentenza c'è scritto che i precedenti del padre sono "irrilevanti" e che lui è "la figura maggiormente idonea a garantire stabilità emotiva e accudimento al minore". La madre è stata definita "borderline" perché durante il periodo delle violenze prendeva dei farmaci antidepressivi contro l'ansia
Il figlio minorenne affidato al padre, nonostante quest’ultimo abbia sulle spalle una sentenza di condanna in due gradi di giudizio per violenza e lesioni contro l’ex moglie, maltrattamenti in famiglia e violenza assistita. A deciderlo in sede civile a Padova è stata la giudice di Padova Chiara Ilaria Bitozzi, secondo la quale i precedenti del padre sono “irrilevanti” e lui è “la figura maggiormente idonea a garantire stabilità emotiva e accudimento al minore”. La madre non è stata ritenuta adatta perché durante il periodo delle violenze prendeva dei farmaci antidepressivi contro l’ansia e quindi, secondo il consulente tecnico d’ufficio, presenta una “personalità borderline”.
Secondo la giudice, è dunque irrilevante la sentenza di condanna nei confronti del padre firmata un anno prima dalla giudice Valentina Verduci. Nell’elenco delle prove e delle testimonianze di quel processo, scrive il Corriere del Veneto, è emerso che l’uomo ha “massacrato di botte” (con lesioni anche permanenti), insultato, minacciato, demolito psicologicamente, isolato, tenuto senza soldi e senza cibo l’ex moglie, con l’aggravante di averlo fatto alla presenza dei figli minorenni (da qui il reato di violenza assistita).
Il decreto di custodia in favore del padre, secondo il Centro veneto progetti donna onlus, è “senza precedenti in Italia”. Secondo gli avvocati “non è stata valutata la capacità genitoriale e non è stato fatto un approfondimento clinico specifico”. Per Patrizia Zantedeschi, psicologa e presidente del Centro, il decreto dell’udienza civile “viola la Convenzione di Istanbul”, la convenzione europea firmata da tutti gli Stati per la lotta alla violenza contro le donne e violenza domestica. La Convenzione, all’art. 31 obbliga a “garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza” pregressi. “In questo caso invece – chiarisce Zantedeschi – il giudice ha messo anche per iscritto che la condanna del padre è irrilevante, sostenendo che lui non è stato maltrattante verso i figli”.
Molto grave, afferma Mariangela Zanni del Centro, è anche il fatto che la giudice “definisca ogni tentativo della donna di difendere sé e i figli dalle violenze (cioè le varie denunce) come ‘attacco alla genitorialità’ e ‘conflittualità’, mettendo la vittima sul banco degli imputati. E delegittimando il suo giusto diritto a difendersi, denunciare, uscire dalla violenza”. La donna ha fatto ricorso in appello, fissato per il primo luglio. Intanto, il caso è stato segnalato dai legali della donna al Grevio, l’organismo internazionale che vigila sulle violazioni della legge e sulla mancata tutela delle vittime di violenza, perché apra un’inchiesta. È stata anche avviata una mobilitazione di tutta la rete italiana dei Centri antiviolenza.