I manager che guidavano le società del gruppo Ferrovie dello Stato sono stati giudicati colpevoli anche in appello per la strage di Viareggio, il disastro ferroviario del 29 giugno 2009 nel quale morirono 32 persone. In secondo grado, con riduzioni di pena dovute alla prescrizione di alcuni reati, i giudici hanno confermato la sentenza di primo grado: 7 anni per Mauro Moretti, ex ad di Fs e Rete Ferroviaria Italiana, 6 per Michele Mario Elia, ex ad di Rfi e attuale country manager del gasdotto Tap per l’Italia, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia. La procura generale aveva chiesto 15 anni e mezzo di condanna per Moretti, 14 anni e mezzo per Elia e 7 anni e mezzo per Soprano. I giudici hanno confermato i risarcimenti che tutti i condannati (Moretti compreso) dovranno pagare in solido.

In aula ad ascoltare la sentenza i familiari delle 32 vittime e il procuratore capo di Lucca Pietro Suchan – che ha coordinato l’inchiesta. I parenti hanno accolto con grande emozione la lettura del dispositivo del presidente della corte: qualcuno si è preso il volto tra le mani, qualcuno ha pianto, qualcuno si è aggrappato alla sedia cercando di contenere l’emozione. Se l’avvocato di Moretti, Armando D’Apote, non ha voluto commentare (dopo il primo grado parlò di “sentenza populista”), il legale di Soprano Alberto Mittone esprime rammarico per il fatto che “in una società con molti dipendenti debba sempre rispondere l’ad, come se nella Fiat si condannasse tutta la società per un problema in un singolo stabilimento, mentre ci sono delle persone responsabili a livello settoriale”. Mittone, che difende anche Castaldo, così come Alfonso Maria Stile, avvocato di Elia, hanno annunciato ricorso in Cassazione.

In appello è stata confermata la condanna – anche se con pene ridotte – per l’ex ad di Cargo Chemical (sempre gruppo Ferrovie) Mario Castaldo a 6 anni (7 anni in primo grado), e a 4 anni Francesco Favo (6 in primo grado), Daniele Gobbi Frattini (6 anni e 6 mesi in tribunale), Emilio Maestrini tutti funzionari di Trenitalia (erano 6 anni e 6 mesi), Paolo Pizzadini capo commessa di Cima Riparazioni (da 6 anni e 6 mesi). Tra gli imputati mandati ora assolti in appello c’è, viceversa, Giulio Margarita, ex dirigente della direzione tecnica di Rfi e oggi dirigente di Ansf, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria: in primo grado era stato condannato a 6 anni e mezzo, il pg aveva chiesto una pena di 12 anni e mezzo, ma per i giudici di Firenze “il fatto non sussiste“. Assolti in appello anche altri dirigenti e tecnici di Rfi che erano stati condannati in primo grado: si tratta di Giovanni CostaAlvaro FumiEnzo Marzilli, che in primo grado erano stati condannati tutti a 6 anni.

Proprietari e revisori, tutti condannati tranne uno
I giudici di Firenze in appello hanno condannato anche tutti i dirigenti e manager (tranne uno) delle società in cui venivano mandati in revisione i carri merci. A finire nel processo, oltre a Ferrovie e alle aziende sotto il suo controllo, sono state infatti anche la Gatx Rail – proprietaria del vagone, americana, ma in questo caso sotto forma delle succursali di Germania e Austria -, le officine Jungenthaler di Hannover (dove fu controllato l’assale che rompendosi causò il deragliamento) e la Cima Riparazioni, azienda mantovana che nel febbraio del 2009, 4 mesi prima del disastro, aveva revisionato il carro merci.

Tra i dirigenti delle società estere è stato condannato innanzitutto Joachim Lehmann, supervisore all’Officina Jugenthal di Hannover, a cui la corte ha inflitto 7 anni e 3 mesi riformando la sentenza del tribunale di Lucca che lo aveva assolto. Il pg Luciana Piras aveva chiesto per lui 8 anni anche sostenendo che “aveva un contratto da 17 ore l’anno per un compenso di 700mila euro, ma non andò a controllare” i materiali rotabili. La corte ha deciso poi una pena di 8 anni e 8 mesi per Rainer Kogelheide di Jungenthal e Peter Linowski di Gatx Rail Germania, di 8 anni per Johannes Mansbarth, ex ad di Gatx Rail Austria, e per Roman Mayer responsabile manutenzione flotta carri merci di Gatx Austria, di 6 anni e 10 mesi per Andreas Schroter, tecnico, Uwe Kriebel, operaio addetto alla verifica dei materiali, e Helmut Brodel, tutti delle officine Jugenthal. L’unico assolto è Uwe Koennecke, responsabile officina Jugenthal, che in primo grado era stato condannato a 8 anni e mezzo.

Per quanto riguarda le società, imputate secondo la legge che regola la responsabilità amministrativa, i giudici di appello hanno confermato la condanna a carico di Trenitalia e Rfi a pagare 700mila euro, ma ha cancellato le interdizioni societarie stabilite dal tribunale di Lucca. Confermate, con parziali riduzioni, le sanzioni di 400mila euro per Gatx Rail Austria, Gatx Rail Germania e Jugenthal Waggon. Restano assolte come in primo grado Ferrovie dello Stato, Fs Logistica e Cima Riparazioni.

Il padre di Emanuela, morta a 21 anni: “Come potevo lasciar perdere?”
I familiari delle vittime della strage di Viareggio erano presenti in massa, questa mattina, alla corte d’appello di Firenze. Se Marco Piagentini, presidente dell’associazione Il mondo che vorrei, preferisce restare in silenzio e annuncia una conferenza stampa per domani a Viareggio, dopo essere uscito dall’aula Claudio Menichetti, padre di Emanuela, morta a 21 anni per le gravi ferite 42 giorni dopo il disastro, ha mostrato ai giornalisti una foto del volto della figlia in ospedale, reso irriconoscibile dalle ustioni: “Come potevo lasciare perdere una cosa del genere”. “Siamo arrivati a un buon giudizio – ha commentato – finalmente dopo questa sentenza riusciremo a fare qualcosa per la sicurezza”. Trattiene a stento le lacrime Luciana Beretta, che nella strage di Viareggio ha perso il figlio Federico Battistini: “Non so cosa farò oggi – ha detto – ma so che mi batte forte il cuore. Penso che finalmente non potranno cavarsela più solo coi risarcimenti”.

La procura: “Affermazione della giustizia”. Il sindaco: “Ferita ancora aperta”
La sentenza della corte d’appello “è per noi una vittoria” dice il procuratore capo di Lucca, Pietro Suchan, che ha coordinato l’inchiesta e la linea nel processo di primo grado. “Dobbiamo digerire il dispositivo della sentenza che sarà disponibile domani – ha aggiunto – ma il giudizio complessivo è di soddisfazione per il lavoro svolto dalla procura di Lucca, dalla polizia giudiziaria e da tutti coloro che hanno creduto nella necessità di affermazione della giustizia“.

Il sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro parla di “un passo avanti verso la giustizia: il secondo grado conferma che ci sono delle responsabilità chiare. Certo questo non vuol dire che termina il dolore, il dolore è ancora vivo e non è con delle sentenze che si risarcisce una ferita grande e aperta nel cuore della città”.

Moretti, responsabile anche da ad di Ferrovie e non solo di Rfi
Moretti, che da indagato e imputato era rimasto alla guida di Ferrovie e poi ha guidato Leonardo-Finmeccanica, non era in aula a Firenze. E’ accusato di disastro, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose e incendio, ma come detto questi ultimi due reati sono andati prescritti così come aveva già annunciato la procura generale nella requisitoria di un paio di mesi fa. Moretti peraltro aveva annunciato ai giudici di voler rinunciare alla prescrizione (che comunque non va oltre i 6 mesi di riduzione della pena). Da sottolineare che al contrario di quanto deciso in primo grado Moretti è stato ritenuto responsabile non solo da ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria dal 2001 al 2006, ma anche da ex ad di Ferrovie dello Stato, ruolo che ha ricoperto per 8 anni, dal 2006 al 2014. Questo perché – nella tesi dell’accusa – la responsabilità di Moretti nella carenza degli investimenti per la sicurezza della rete ferroviaria non era solo diretta attraverso la società che se ne occupa (Rfi), ma anche attraverso il ruolo apicale nell’azienda madre, Ferrovie appunto.

Il boiardo dello “spiacevolissimo episodio”
Negli anni moretti è stato il dirigente di Ferrovie più contestato dalle famiglie dei 32 morti per diverse sue uscite controverse. In un’occasione, per esempio, durante un’audizione in Parlamento, aveva definito il disastro “lo spiacevolissimo episodio di Viareggio”. Aveva dichiarato poi tra l’altro che “quando si verifica un incidente per ciascuno di noi, all’interno di Ferrovie dello Stato, si apre un calvario. Perché già conosciamo il film a cui dovremo assistere: è sempre colpa nostra” e anche “quando c’è un incidente, sembra che caschi il mondo. Bisognerebbe anche razionalizzare oltre l’emozione del momento che è anche comprensibile”. L’associazione delle vittime aveva definito la rinuncia alla prescrizione del manager “arrogante demagogia“: “Ciò che ci offende e indigna fortemente – scrisse in una nota Marco Piagentini, sopravvissuto con dolorose conseguenze al disastro del 2009 e presidente dell’associazione Il Mondo che Vorrei – è l’affermazione che ha fatto, in base alla quale la sua scelta sarebbe derivata dal rispetto delle vittime. Questo è totalmente falso, mai in 10 anni il cavalier Moretti ha avuto atteggiamenti di serio e doveroso rispetto a partire dalla non rinuncia del Cavalierato, e anche oggi nell’atteggiamento di fuga anticipata senza aspettare e rispettare la conclusione dell’udienza”.

I fatti del 29 giugno 2009: il fiume di fuoco di Viareggio
Nella serata del 29 giugno 2009 un treno che trasporta gpl attraversa la stazione di Viareggio. Un asse sotto a un carro si spezza, si scoprirà che è corroso. Sono le 23,48. Il treno deraglia, i due macchinisti se ne accorgono dopo 10 secondi perché in cabina c’è rumore e nessun controllo retrovisivo. Frenano, danno l’allarme, scappano, si salvano: potranno raccontare di non aver fatto errori. Da quel giorno non sono più saliti su un treno. Quattro dei 14 carri-cisterna si ribaltano. Uno si squarcia. Il gpl esce, esplode, il boato si sente per chilometri. Le fiamme invadono le strade vicine alla ferrovia, le case crollano. Si raggiungono i 300 gradi.

Molti dei feriti – quasi tutti ustionati dal gas incendiato che corre lungo le strade, fin dentro le case – vengono trasportati nei centri grandi ustionati di PisaGenovaPadova. Alcune persone muoiono carbonizzate, intere famiglie scompaiono, come gli AyadHamza, 16 anni, muore cercando di salvare la sorellina Iman, 3. Né loro né i genitori ce la fanno, sopravvive la sorella Ibi. Altri bambini muoiono: Lorenzo Piagentini, 2 anni, e il fratello Luca, 4 anni, con la mamma Stefania. Bruciano i giovani, come (dopo 42 giorni di agonia) Emanuela Menichetti, 21 anni, e Sara Orsi, 24, e gli anziani. Il più vecchio è Mario Pucci, ha 90 anni. Il conto finale è di 32 vittime.

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