Non sono socialmente pericolosi. Per questo non ci sarà nessuna sorveglianza speciale a carico di due militanti italiani partiti per il Nord della Siria per combattere al fianco delle milizie curde contro l’Isis. Lo ha deciso il Tribunale di Torino nei confronti di Davide Grasso e Fabrizio Maniero. Stamattina i giudici della sezione Misure di prevenzione hanno depositato il decreto con cui viene respinta la richiesta formulata dalla Procura torinese su istanza della digos della Questura. Per altre tre persone, Maria Edgarda Marcucci, Paolo Andolina e Jacopo Bindi, sono necessari degli approfondimenti. Solidarietà nei loro confronti era stata espressa dal fumettista Zerocalcare, dal regista Davide Ferrario e dai molti altri intellettuali.

Lo scorso 3 dicembre il sostituto procuratore Manuela Pedrotta aveva chiesto al Tribunale di applicare la sorveglianza speciale nei confronti di questi cinque militanti dell’area antagonista torinese, tre legati al centro sociale Askatasuna e due anarchici, che avevano una caratteristica in comune: tra il 2014 e il 2017 erano stati al confine tra la Turchia e la Siria al fianco delle popolazioni curde impegnate nella lotta allo Stato islamico. Quattro avevano partecipato agli addestramenti militari per prendere parte ai combattimenti nel Rojava e ad Afrin, gli uomini nelle Unità di protezione del popolo (Ypg) e la donna nell’Unità di protezione delle donne (Ypj), la milizia femminile. Uno di loro, Bindi, aveva invece fatto parte delle organizzazioni civili. Secondo la Procura, però, quelle organizzazioni erano “diretta emanazione della principale organizzazione militare dei curdi in Turchia, ovvero il Pkk, considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dagli Stati Uniti”. Il pubblico ministero temeva che, tornati in Italia, potessero sfruttare le loro nuove conoscenze in materia di armi e guerriglia.

Per valutare la loro pericolosità sociale, però, questo elemento non era sufficiente. La Procura ha sottolineato che molti di loro avevano precedenti penali per aver partecipato a manifestazioni e scontri col movimento No Tav o nelle lotte sociali, come quelle per il diritto alla casa o per i diritti dei migranti. I giudici hanno ritenuto che “l’adesione a forme di protesta sociale (…) non costituisce di per sé elemento da cui è possibile trarre argomenti per la valutazione della pericolosità” e che il loro addestramento all’uso delle armi in guerra non possa essere ritenuto rischioso se non viene valutato il comportamento tenuto una volta tornati in Italia. Le condanne riportate da Grasso e Maniero riguardano fatti avvenuti prima dei loro viaggi nel Medio Oriente. Il primo, difeso dall’avvocato Lea Fattizzo,  al suo rientro ha avuto soltanto una denuncia per aver violato un ordine della prefettura e per questo episodio la Procura ha chiesto l’archiviazione. L’ultimo precedente di Maniero, assistito dall’avvocato Frediano Sanneris, risale al 2014, ragione per cui “l’esperienza siriana non incide” e non ci sono “fatti concreti” che dimostrano la sua pericolosità.

Diverso è il discorso per gli altri tre, difesi dall’avvocato Claudio Novaro. Secondo i giudici bisogna valutare quale sia stato l’esito delle notizie di reato dopo il loro rientro in Italia per capire se l’aver imparato a utilizzare armi e a combattere in scenari di guerra possa averli trasformati in pericolosi militanti: “I miei assistiti hanno carichi pendenti recenti – spiega il difensore -, quindi si pone il problema dell’attualità”. La questione, quindi, non è chiusa: il Tribunale potrebbe fissare una nuova udienza per la discussione.

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