Per dare un senso all’importanza che questa Coppa d’Africa riveste per l’Egitto è sufficiente dare un’occhiata all’incontro dei giorni scorsi al Cairo tra il presidente al-Sisi e la nazionale guidata da Momo Salah. Strette di mano, sorrisi, maglie autografate ma anche e soprattutto esortazioni e consigli da parte del capo di Stato. Come quello di mostrare disciplina dentro e fuori dal campo o come quello di compiere il massimo sforzo per appagare il popolo egiziano. Una sorta di panem et circenses, un volano per l’economia, uno strumento di consenso e propaganda: l’Egitto ha voglia di dimostrare di essere un Paese sicuro, stabile, in grado di ospitare grandi eventi. Il torneo, che inizia alle 22 di venerdì 21 giugno con la partita tra i padroni di casa e lo Zimbabwe, arriva in un momento cruciale. Da una parte si avrà l’opportunità di poter espandere l’influenza del Cairo in tutto il continente, dall’altra bisognerà fare i conti con i possibili disordini e il timore di attacchi terroristici dopo l’improvvisa morte dell’ex presidente Morsi, l’unico a essere stato eletto democraticamente in Egitto. In quest’ottica il ministro degli Interni ha annunciato un vasto piano di sicurezza per mantenere l’ordine pubblico. Non molti i dettagli forniti: un dispiegamento di varie forze in luoghi considerati vitali più la presenza di alcuni punti di controllo nei dintorni degli stadi e degli hotel che ospitano le squadre. Le pattuglie sorveglieranno anche i tanti siti archeologici che, secondo le stime, saranno presi d’assalto dai turisti che hanno raggiunto il Paese in questi giorni.

Le misure di sicurezza vanno di pari passo alla convinzione che Il Cairo sia in competizione con le altre capitali africane per diventare un punto nevralgico di incontri tra leader e uomini d’affari: gli esperti raccontano di come al-Sisi in questi ultimi anni stia costruendo numerose relazioni per ridare all’Egitto un ruolo principe: “Siamo certamente in grado di organizzare questa competizione – hanno fatto sapere dal comitato sportivo del Parlamento -, lo faremo nel migliore dei modi. Ne parlerà tutto il mondo”. I sei stadi in cui si giocherà la Coppa (oltre al Cairo, per esempio, figurano anche quelli di Alessandria e di Suez) sono stati svecchiati con seggiolini più comodi e cancelli automatici. E agli impianti ci si arriverà grazie a nuove strade e a nuove linee di trasporto che faciliteranno gli spostamenti. Infrastrutture che ovviamente faranno comodo a quei tour operator che hanno organizzato dei pacchetti speciali – partite e visite guidate ai siti storici – per i tifosi delle 24 squadre partecipanti. A proposito di biglietti, l’unica fonte da cui attingere sarà una piattaforma online chiamata Tazkarti. Lo scopo dell’organizzazione è quello di contrastare il mercato nero garantendo lo stesso prezzo a chiunque: ogni ticket sarà scansionato allo stadio per assicurarsi che corrisponda al titolare effettivo. In caso contrario, grazie e tanti saluti. I biglietti delle partite di Salah e compagni vanno dai 10 ai 130 euro mentre gli altri oscillano tra i 5 e i 26 euro. Prezzi che potrebbero sembrare accessibili a chiunque, tranne che agli stessi egiziani, dato che lo stipendio medio è bassissimo e si aggira tra i 120 e i 150 euro mensili. Pare che il Paese di al-Sisi abbia stanziato per l’intero torneo circa 22 milioni ma ci si aspetta un ritorno diretto maggiore della cifra investita: l’Egitto riceverà il 20% di tutti i proventi, dalla vendita dei biglietti alle pubblicità fino ai diritti delle trasmissioni sportive.

Nel torneo – inizialmente assegnato al Camerun e poi revocato per via dei ritardi nei lavori di costruzione – c’è un’altra questione da sottolineare, forse un po’ più tecnica. È la voce di un movimento calcistico che da quasi trent’anni a questa parte riesce periodicamente ad andare oltre i propri limiti. Gli esempi più lampanti sono i quarti di finale del Mondiale raggiunti proprio dal Camerun nel ’90, dal Senegal nel 2002 e dal Ghana nel 2010. L’aspetto che accomuna tre storie sì differenti ma con lo stesso fascino è la quantità di giocatori cresciuti e maturati in Europa. Da Thomas N’Kono a Roger Milla, da El Hadji Diouf ad Asamoah Gyan senza ovviamente tralasciare la generazione d’oro di una Nigeria fatta fuori soltanto dal genio di Roberto Baggio nel ’94. Il perché è presto spiegato: oltre al potente richiamo di un calcio altamente più competitivo bisogna considerare una paga mensile pressoché irrisoria, la frequente mancanza di un contratto scritto e la creazione di fiorenti vivai che hanno stretto partnership con club europei. Non esiste soltanto La Masia del Barça. È il caso della senegalese Génération Foot, una delle accademie più attrezzate del continente africano, che dal 2003 lavora a stretto contatto con i francesi del Metz. Un nome a caso, che poi sarà la stella della Coppa d’Africa insieme a Salah, è quello di Sadio Mané. Ragazzini che magari arrivano in Europa già all’età di 12 anni, che vengono presi in affido dalle società e che vengono prontamente istruiti a un tipo di calcio lontano anni luce da quello di casa. Più organizzazione (non meno tecnica perché quella è quasi un talento e la puoi solo affinare) e più tattica. Insomma, le chiavi necessarie per poter avere successo nel calcio di copertina.

Un ragionamento, però, che potrebbe snaturare il credo del pallone africano spiegando così quella mancata rivoluzione che ha sempre portato le sue nazionali a un passo dal sogno e soprattutto ad avere una storia circostanziata a un determinato torneo. Un rapido sguardo alle statistiche dell’ultimo Mondiale spiegherà meglio la situazione: la Serbia è la squadra che ha corso di più con una media di 113 km a partita e la Tunisia ha messo a referto una maggiore percentuale di possesso palla rispetto ai campioni della Francia. Un’inversione di tendenza che cozza con i principi di un movimento che ha sempre fatto della velocità o della forza fisica i suoi punti cardine e che ultimamente sta andando troppo spesso verso uno stile di gioco più rinunciatario, meno spettacolare e più attendista. Una filosofia di calcio che tende a emulare quella europea pur senza condividerne strutture e organizzazione: è un paragone già perso in partenza, vuoi per questioni economiche come la mancanza di un vero e proprio sistema professionistico, vuoi per le storiche ingerenze politiche che hanno soltanto avuto effetti sfavorevoli. Vicende che si traducono con evidenza nel gioco e non è un caso che a Russia 2018 nessuna nazionale africana abbia raggiunto la fase a eliminazione diretta. Per adesso, in attesa di investimenti o di un cambiamento che chissà quando avverrà, non resta che aggrapparsi alle stelle. A tutti quei talenti in grado, da soli, di poter cambiare l’inerzia di una partita. E in questa Coppa d’Africa di certo non mancano: da (ovviamente) Salah e Mané a Ziyech e Mahrez, passando per la rivelazione della Ligue 1 Nicolas Pépé.

I due compagni di squadra del Liverpool, che giusto qualche settimana fa hanno festeggiato insieme la vittoria della Champions, sono l’espressione delle principali rivali del torneo: Egitto e Senegal. La nazionale di Aguirre ha dalla sua il vantaggio di giocare in casa, quella di Cissé – oltre al potenziale offensivo – una cerniera difensiva di sicuro livello garantita da un monumento come Koulibaly. Tra i tanti giocatori da seguire, tralasciando i volti più noti, spicca il nome del maliano Sékou Koita: i più attenti lo avranno ammirato all’ultimo Mondiale U20. Un attaccante forte, creativo e veloce di non ancora 20 anni, già andato in gol contro gli Azzurrini di Nicolato. Una menzione la meritano anche la Nigeria di Iwobi, il Camerun campione uscente guidato da Seedorf e difeso dal portiere dell’Ajax Onana, il Marocco del già citato Ziyech, la prima volta di Mauritania, Madagascar e Burundi, la novità del Var dagli ottavi di finale. Ingredienti che finalmente prenderanno vita in estate – come non era mai successo – per non sgambettare i club europei che tra gennaio e febbraio si vedevano depredati dei loro migliori talenti. Il prossimo 19 luglio, all’Al Salam Stadium del Cairo, non avremo soltanto il nome della vincitrice della Coppa d’Africa. In gioco c’è molto di più. È la speranza, forse la consapevolezza, di poter dare un calcio alla storia mettendo in soffitta uno dei periodi più bui dell’intero movimento dopo il flop Mondiale. I bei viaggi iniziano sempre da casa.

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