REPORTAGE - Nella capitale egiziana il torneo continentale neanche si percepisce: poca pubblicità, solo qualche cartellone di propaganda per Salah e compagni. In compenso le misure di sicurezza sono enormi. "Sarà come uno show, almeno nei giorni in cui giocherà l’Egitto e in occasione di semifinali e finale. Per il resto la parola d’ordine è ‘sotto traccia’, meno se ne parla meglio è" dicono due giornalisti. Nel frattempo la propaganda di Al Sisi rischia di essere inficiata dalla scomparsa del leader della Fratellanza durante un processo
Sotto il cielo estivo del Cairo si vive come in un forno, le notti sono torride e appiccicose, hanno poco di magico e la gente spera di arrivare al giorno dopo nelle migliori condizioni possibili. La Coppa d’Africa di calcio è solo un dettaglio. E si vede. O, meglio, si vede poco. Come la mascotte Tut, il faraone Tutankhamon in versione cartone animato, nonché immagine scelta in fretta e furia dalla federazione egiziana per lanciare il brand in giro per il continente. Non un poster o una bandiera col volto del ragazzino-mascotte: per trovarne uno bisogna arrivare direttamente dalle parti dello Stadio Internazionale del Cairo, teatro della partita d’esordio della Coppa, della finale del 19 luglio e, in mezzo, di altre partite tra gironi e fase a scontri diretti. Il megaimpianto si trova a Nasr City, stretto in mezzo alle due arterie principali, el-Nasser road e Salah Salem street, che collegano il cuore del Cairo all’aeroporto internazionale e alle nuove città/quartiere per ricchi, a est e sud-est.
Un perimetro perfettamente quadrato, con al centro lo stadio da 75mila posti e attorno altri campi da calcio, la foresteria per le varie delegazioni, un impianto sportivo coperto e varie sedi militari, tra cui quella dell’aviazione e la residenza dei generali più alti in grado. Sul lato sud del quadrato c’è anche la tomba del milite ignoto e, davanti, la tribuna delle autorità occupata nel giorno della commemorazione. In Egitto tutto ha la forma e la sostanza delle stellette, compreso lo sport più popolare e la stessa aria si respira negli altri due impianti in cui si disputeranno le partite della Coppa, in particolare il Salam Stadium, un’oasi nel deserto a 60km dal Nilo. Tutte le attenzioni in questa vigilia infuocata sono dedicate allo stadio internazionale però. Gli ingressi pattugliati da soldati in assetto di guerra, c’è una guardia ogni 20 metri, tre file di controlli prima di entrare nel cuore della cittadella sportiva, transenne a profusione, soldati e poliziotti appostati sui ponti delle strade sopraelevate.
Sono le 11 del mattino e l’area, totalmente priva di alberi, è un inferno infuocato. Da uno degli ingressi principali esce il pullman della nazionale della Namibia, in visita all’impianto. Di fronte c’è la fermata della metro ‘Stadium’, quella attraverso cui la maggior parte dei tifosi arriveranno venerdì sera all’impianto. A poche centinaia di metri dalla metropolitana c’è piazza Raba’a, teatro del massacro di un migliaio di manifestanti, da parte dell’esercito, nell’agosto del 2013. ‘Stadium’ è una delle 9 stazioni della nuova linea che collega Downtown Cairo, dalla stazione di Attaba, fino ad al-Mansoura, per poi fermarsi in attesa dei lavori per allungare il tragitto fino all’aeroporto. Incertezza sui tempi di consegna dei lavori, certi invece i prezzi della linea, tra 5 e 10 sterline egiziane, pochi centesimi di euro, a seconda del percorso coperto, arrivati alle stelle dopo gli aumenti decisi dal governo nel 2017: fino ad allora il biglietto per tutte le linee della metro del Cairo era fermo a 2 sterline.
Il pieno per venerdì dovrebbe essere garantito, in fondo è l’esordio dei padroni di casa. Molti non andranno, per varie ragioni. Hicham ad esempio, giovane studente universitario col pallino per il tifo organizzato e ultras dello Zamalek, la squadra che divide i tifosi della capitale con quelli dell’al-Ahly. Rivali e divisi su tutto, meno sul destino dei tifosi più accesi: “Una trentina di ultras dello Zamalek sono in prigione dopo i fatti accaduti un paio di anni fa – racconta Hicham – grazie alle delazioni del nostro presidente, Mortada Mansour, amico di al-Sisi e nemico del tifo. L’al-Ahly ha subito la stessa sorte. Ciò che è successo negli stadi in Egitto negli ultimi anni – spiega Hicham – ha provocato la fine di questo sport e del tifo (il tifoso si riferisce, in particolare, al massacro allo stadio di Port Said, avvenuto il 1° febbraio del 2012 durante la partita Masry e al-Ahly che provocò 72 vittime, ndr.), la maggior parte sono schedati e tutte le partite principali del campionato egiziano sono senza pubblico. Molti di noi non potranno entrare allo stadio per seguire la squadra del cuore per anni, alcuni per sempre. Per le partite della nazionale è diverso – aggiunge – ma qui entra in gioco l’altro problema: un biglietto per la curva, terzo anello, dove praticamente non si vede nulla, costa tra le 150 e le 200 sterline egiziane (circa 10 euro, ndr.). I prezzi sono altissimi e dedicati a pochi. Io, ad esempio, non andrò”.
Prezzi che si impennano vertiginosamente a seconda del settore, fino ad arrivare a 2500 egp, 120 euro, per la tribuna centrale. Cifre che fanno sorridere paragonate a quanto si spende per una semplice partita di campionato di Serie A in Italia, con il bagarinaggio capace di far lievitare i costi a cifre da capogiro durante i match di cartello. Allo stadio o no, al calcio e alla Coppa d’Africa gli egiziani inizieranno a calarsi nel clima del torneo da venerdì, forse. Quando i tipici caffè sotto gli oleandri o agli angoli delle strade, dove si gusta tè alla menta, caffè turco e si fuma Shisha per rilassarsi, si riempiranno di clienti, uomini nella quasi totalità, col volto incollato agli schermi, allora sì che la Coppa d’Africa sarà iniziata. Fino a venerdì si penserà ad altro e ad altro si tornerà a pensare il giorno dopo la partita d’esordio contro lo Zimbabwe. In pochi resteranno a casa, non fosse per i 35° fissi, anche di notte, pronti a salire sopra la soglia dei 40 di giorno. In Egitto, al Cairo, le partite si guardano soprattutto per strada e davanti agli occhi c’è ancora la delusione dei tifosi dei faraoni la sera della finale della scorsa edizione, giocata in Gabon, quando l’Egitto fu sconfitto in finale dal Camerun.
La vendetta è un piatto che si consuma freddo ed ecco la sorpresa alla fine dello scorso anno. Al Camerun l’onore di organizzare, da Paese vincitore, l’edizione numero 32. Purtroppo anche l’onere e qui le cose non sono andate esattamente bene. Impianti non terminati e scarsa sicurezza a causa della minaccia sempre crescente dell’influenza di Boko Haram hanno spinto la Fifa ad affidare l’organizzazione ad un’altra nazione, provocando lo slittamento della manifestazione da gennaio in piena estate. Nel duello di inizio anno tra Egitto e Sud Africa hanno avuto la meglio le credenziali fornite dal regime di Abdel Fattah al-Sisi, di nuovo Paese ospitante della Coppa dopo tredici anni: stadi praticamente pronti e profilo basso. Bassissimo stando all’atmosfera che si respira in questa vigilia sportiva, macchiata indelebilmente dal fatto dell’anno: la morte del leader dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, in cella dal 2013 con una mezza dozzina di capi d’imputazione e una condanna a vita da affrontare, salvo ripensamenti dell’Alta Corte del Cairo.
I dubbi attorno al suo decesso, l’effetto letale di una crisi cardiaca proprio durante un’udienza in tribunale, restano, ma la tempistica dell’episodio non depone certo a favore del regime. Lo stesso che si è affrettato a costringere i ‘suoi’ mezzi di informazione, praticamente tutti, almeno quelli ufficiali, a relegare la notizia nei bassifondi delle pagine di un giornale o in una piccola finestra on line. La brillantezza della politica estera del Cairo continua ad avere il favore delle prime pagine dove la Coppa d’Africa si è timidamente inserita nel corso degli ultimi giorni. Il faccione del prossimo Pallone d’Oro, Mohamed Salah (in caso di vittoria della Coppa d’Africa dell’Egitto sarà difficile toglierlo all’ex stella della Roma), eroe nazionale e ambiguo nei suoi atteggiamenti nei confronti del regime di al-Sisi, è l’unico a campeggiare sui media e ad allietare le code lungo le grandi strade della capitale.
Pannelli pubblicitari grandi come palazzi preferiscono ancora, e sempre, proporre i sogni di una residenza dorata in uno dei compound nella periferia esterna della città. Nel resto della città la magica atmosfera del grande evento sportivo è assente. Si parlava di profilo basso: “Spero che gli egiziani sapranno comportarsi in maniera adeguata per il tipo di evento – chiede quasi implorando Ahmed Musa, noto conduttore televisivo – Abbiamo gli occhi del mondo puntati addosso e dobbiamo dare una buona impressione. Abbiamo tanto da guadagnare da questa rassegna, ma basterebbe poco per rovinare tutto. Non è un momento facile, per l’Egitto e per il continente, ma i problemi devono restare fuori da queste manifestazioni”. Difficile capire perché l’Egitto abbia deciso di accollarsi il peso di organizzare la Coppa d’Africa avendo a disposizione poco più di sei mesi. Con tutti i rischi collaterali che un evento simile può attirare, assumersi questa responsabilità non ha prezzo.
In più, quattro giorni prima del fischio d’inizio, a guastare il tutto ci si è messa anche la morte di Mohamed Morsi: “Al-Sisi ha deciso di organizzare la Coppa per un ritorno d’immagine, per dimostrare le sue potenzialità davanti a tutto il mondo – è il commento di Haitham Gabr e Lina Attalah del sito di notizie Mada Masr – Sarà come uno show, almeno nei giorni in cui giocherà l’Egitto e in occasione di semifinali e finale. Per il resto la parola d’ordine è ‘sotto traccia’, meno se ne parla meglio è, per non attirare troppo le attenzioni – sottolineano – Insomma, sarà uno spettacolo a puntate da cui al-Sisi cercherà di tirar fuori solo il meglio. Certo la fine di Morsi potrebbe cambiare le cose, basterà aumentare i controlli e tenere a bada eventuali atti ostili. Già, attraverso l’informazione di regime, ha silenziato il clamore per la scomparsa del leader della Fratellanza, ora userà gli stessi canali per veicolare il messaggio”.
Più entusiasta e convinto che tutto, alla fine, andrà alla grande, uno dei più noti giornalisti sportivi egiziani, Belal Elsisi: “È tutto pronto, la Coppa d’Africa 2019 è stata organizzata alla perfezione – dice Elsisi mostrando parecchio ottimismo – Anche l’aspetto della sicurezza non sarà un problema grazie alle migliaia di addetti impegnati. Mancano pochi giorni, ma ogni dettaglio è stato curato con la massima attenzione. Grazie a questo evento faremo capire al mondo di essere in grado di poter ospitare anche i Campionati del Mondo di calcio, non solo la Coppa d’Africa. Scarsa atmosfera in città? – si chiede Elsisi – Nei dintorni degli stadi è tutta un’altra cosa e durante gli incontri sarà grande festa. L’Egitto vincerà solo se Mohamed Salah è in forma, temo il Senegal e le altre squadre nordafricane”.
La rinuncia all’ultimo momento del Camerun ha costretto gli organi del calcio internazionale a posticipare il torneo in piena estate. Le temperature al Cairo e nel resto dell’Egitto (si giocherà anche a Alessandria, Suez e Ismailya) sono in costante aumento sia nei valori massimi che minimi e tra luglio ed agosto toccheranno vette superiori ai 45°. Nella prima fase del torneo ben 7 partite – Mauritania-Angola, Tunisia-Mali, Marocco-Namibia, Costa d’Avorio-Sud Africa, Madagascar-Burundi, Nigeria-Guinea e RdCongo-Uganda – si giocheranno alle 16.30. Sarà improbabile assistere ad incontri vivaci e qualitativamente validi, piuttosto sarà importante arrivare al 90° con tutti i giocatori in buone condizioni di salute. La minaccia terroristica e la sicurezza, le temperature roventi e la possibilità di un flop della nazionale dei faraoni: riuscirà la simpatica mascotte ‘Tut’ a portare fortuna all’Egitto?