È stata inaugurata dal presidente Conte al Policlinico Gemelli di Roma. Al suo interno, Dna, plasma e colture di cellule verranno catalogati in forma anonima e messi a disposizione di tutti i ricercatori italiani e del resto del mondo
Un nuovo impulso alla ricerca sulla Sla (la sclerosi laterale amiotrofica) arriverà dalla prima biobanca nazionale per la crioconservazione dei campioni biologici dei pazienti. Dna, plasma, colture di cellule della pelle e dei globuli bianchi verranno catalogati in forma anonima e messi a disposizione di tutti i ricercatori italiani e del resto del mondo. Velocizzare gli studi su una malattia che oggi è ancora senza cure, garantendo più qualità e sicurezza nella distribuzione dei materiali, è l’obiettivo della struttura inaugurata ieri al Policlinico Gemelli di Roma, alla vigilia della Giornata mondiale sulla Sla, e voluta direttamente da Aisla, l’associazione di pazienti. “La biobanca rappresenta una modalità innovativa di fare ricerca scientifica perché promuove la condivisione delle risorse. Di solito i ricercatori sono gelosi custodi dei loro dati”. Queste le parole del premier Giuseppe Conte, che ha tagliato il nastro dell’impianto.
A dirigere l’attività di raccolta e stoccaggio di cellule e tessuti sarà Mario Sabatelli, responsabile del centro clinico Nemo adulti (situato all’interno del Gemelli), specializzato nell’assistenza di chi è affetto da malattie neuromuscolari come la Sla. “Noi arruoleremo i nostri pazienti per il prelievo dei campioni, speriamo che anche gli altri centri di ricerca collaborino inviandoci i loro”, si augura il medico. Basterà poi che gli scienziati facciano una richiesta di accesso al catalogo per poterlo consultare e di spedizione dei campioni presso il loro laboratorio.
La biobanca, gestita dalla società Xbiogem (frutto della fusione tra Policlininco Gemelli e il centro di risorse biologiche del gruppo Sapio), si compone di due locali di stoccaggio dove si trovano dieci contenitori a vapori di azoto di ultimissima generazione che possono conservare fino a 380mila campioni di sangue e tessuti a una temperatura che va da meno 20 gradi a meno 196. Ed è stata finanziata con una donazione di 300mila euro da parte del gruppo commerciale Selex, che ha raccolto i soldi anche attraverso la campagna nazionale “Un gesto con il cuore per sostenere la ricerca contro la Sla” avviata in 700 punti vendita nel mese di maggio. Di biobanche nazionali sulla Sla esistono pochi esempi. “Sicuramente ne hanno una gli Stati Uniti e l’Inghilterra”, chiarisce Sabatelli. “E da oggi anche il nostro Paese. Un’unica grande collezione di dati che sarà un’opportunità per tutti. È la prima volta che su iniziativa dei pazienti si realizza un progetto del genere” dichiara orgoglioso Massimo Mauro, presidente Aisla, da cui è nata l’idea. In cantiere l’associazione ha anche la realizzazione di un Registro nazionale dei pazienti.
Nel mondo si contano 450mila persone colpite da Sclerosi laterale amiotrofica, di cui oltre seimila soltanto in Italia (con circa 1500 nuovi casi ogni anno). La Sla è una patologia neurodegenerativa, che causa la paralisi e l’atrofia dei neuroni che servono a controllare i muscoli volontari, facendo progressivamente perdere la capacità di movimento, di deglutizione, della parola e della respirazione. Al momento dalla Sla non si guarisce, non ci sono farmaci, le cause sono perlopiù sconosciute, ma la ricerca ha fatto piccoli passi in avanti. “Sappiamo che c’è una componente genetica e quindi dalle indagini sul dna possiamo ottenere importanti contributi”, spiega Sabatelli. “Inoltre è noto che questi pazienti producono dei rifiuti proteici tossici che non riescono a smaltire. Ora occorre approfondire il meccanismo che provoca la morte dei motoneuroni, quelli deputati a controllare il movimento dei muscoli”. Di strada insomma ce n’è ancora tanta da fare. “Le terapie geniche rivolte ai pazienti che presentano mutazioni del gene Sod1, una proteina, stanno dando risultati estremamente incoraggianti seppure in fase preliminare, basati su studi di appena tre mesi, che però dimostrano che la cura limita la produzione anomala di questa proteina da parte dell’organismo”.