Palazzi & Potere

Dl Crescita, solo 30 deputati Pd in Aula per il voto: “Impegni per il weekend”. Zingaretti: “Qualcuno dovrà spiegare”

Di fronte a una maggioranza a ranghi ridotti (270 presenti), i dem disertano il voto di venerdì sera: 73 deputati assenti, tra cui molti 'big', e 7 in missione. Il segretario chiede chiarimenti. Nessuna risposta ufficiale. Fonti del gruppo a Ilfattoquotidiano.it: "Tanti avevano già preso impegni per sabato e domenica". Scalfarotto: "Avevano l'ultimo volo"

“È chiaro che qualcuno dovrà spiegare che cosa è accaduto ieri”. Nicola Zingaretti striglia il gruppo del Partito Democratico, assente in massa venerdì sera al momento del voto finale a Montecitorio sul dl Crescita. E non ottiene risposte. Silenzio totale. Con la sola eccezione di Ivan Scalfarotto (presente alla votazione), che giustifica i colleghi assenti: “Molti hanno lasciato la Camera prima del voto per non perdere l’ultimo aereo“.

Il richiamo del weekend ha spinto molti eletti dem a disertare il momento del ‘no’ al provvedimento, fissato nel giorno del solstizio d’estate. Ci sono i numeri a raccontare cosa è accaduto al penultimo tornante del decreto legge contro cui il Pd si è scagliato per mesi: l’approvazione della Camera è arrivata con 270 voti favorevoli, 33 contrari e 49 astenuti. L’annunciata astensione di Forza Italia, Fratelli d’Italia e di una parte del gruppo misto avrebbe garantito il via libera anche se fossero stati presenti tutti i 111 deputati democratici. Ma resta una questione di ‘forma’ sulla quale il segretario chiede chiarimenti al gruppo dem di Montecitorio, che aveva già commesso un passo falso imbarazzante sulla mozione pro mini-bot.

Fonti dem della Camera, oltre a rimarcare l’inutilità di presidiare l’Aula perché Lega e M5s non sarebbero inciampate, sottolineano a Ilfattoquotidiano.it come il voto sia “ripetutamente slittato nel corso della settimana”, durante la quale “per 5 giorni abbiamo dato battaglia in commissione e sui banchi, abbiamo fatto opposizione, cercando di evitare che bloccassero la discussione generale”. Di rinvio in rinvio, il voto sul dl Crescita è alla fine arrivato venerdì sera “e molti parlamentari avevano già preso impegni nel weekend”. La spiegazione non deve essere stata fornita a Zingaretti o non deve averlo convinto, visto che da Reggio Calabria, sabato mattina, ha sollecitato una spiegazione. Senza ottenere alcuna risposta ufficiale dal gruppo parlamentare.

E pensare che quando l’Aula ha dato l’ok alla fiducia, il dem Emanuele Fiano aveva trovato il modo di sottolineare su Twitter, rilanciato dal profilo ufficiale dei Deputati Pd: “Il governo raccoglie solo 288 voti sulla fiducia per il decreto Crescita (il via libera è poi arrivato con 270 sì, ndr), il più basso risultato dall’inizio della legislatura. Al voto di fiducia della nascita del governo erano 35o”. Quando però è arrivato il momento del voto finale a Montecitorio assieme a Fiano c’erano appena altri 29 dem: Annibali, Anzaldi, Bazoli, Borghi, Carnevali, D’Alessandro, Dal Moro, Di Maio, Ferri, Fregolent, Gadda, Gariglio, Gribaudo, Lepri, Marattin, Nobili, Orfini, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Prestipino, Rizzo Nervo, Rotta, Scalfarotto, Schirò, Sensi, Siani, Topo e Ungaro. Più Francesca La Marca che ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario.

Gli altri? Tolti 7 deputati in missione, tra i quali il capogruppo Graziano Delrio, restano 73 assenti, senza contare l’autosospeso Luca Lotti. È a loro che si rivolge Zingaretti chiedendo spiegazioni in un day after di bocche cucite nel Pd. L’assenza dei suoi due vice, Andrea Orlando e Paola De Micheli, è stata dettata da eventi di partito, fanno sapere dalla segreteria. Non presenti in Aula altri due ‘big’ come il presidente ed ex premier Paolo Gentiloni e la vice-presidente Debora Serracchiani. In buona compagnia, tra i volti noti, visto che erano vuoti anche i banchi di Maurizio Martina, Anna Ascani, Maria Elena Boschi, Piero De Luca, Piero Fassino, Marianna Madia, Alessia Morani, Giuditta Pini e Andrea Romano.

Molti di questi sono stati tra le voci più critiche nei confronti delle politiche del governo durante le apparizioni in tv, o ringhiando con post su Facebook e su Twitter, salvo non essere in Aula nel momento più importante. Trasformando quasi in un boomerang le parole pronunciate dal loro collega Luigi Marattin durante l’intervento in cui ha annunciato il voto contrario del Pd: “O questo Paese comincia ad abbandonare la logica dell’inseguimento del consenso immediato, sui social magari, oppure davvero avremo problemi molto gravi”.