Al termine dell'ultimo Consiglio Ue, Donald Tusk ha avuto mandato di discutere con il Parlamento la possibilità di un superamento del concetto di Spizenkandidat. Da sempre osteggiata da Macron, oggi anche i Socialisti, in origine sostenitori della prassi inaugurata nel 2014, hanno fatto marcia indietro per poter nominare un candidato che metta d'accordo tutte le forze di maggioranza
L’incontro tra i 28 capi di Stato e di governo al Consiglio Ue, conclusosi con un nulla di fatto sui nomi delle alte cariche dell’Unione europea, ha però portato una novità che cambia le prospettive sull’esito delle contrattazioni e devia il percorso intrapreso dalle istituzioni europee ormai cinque anni fa: il sistema degli Spitzenkandidaten è stato messo in discussione. Al termine della riunione sono più di uno i leader dei gruppi e governi dell’Ue che hanno parlato di numeri insufficienti per nominare uno dei candidati di punta indicati dalle famiglie politiche prima del voto del 26 maggio. Dopo averlo promosso e approvato in sede parlamentare come un successo per la democrazia europea, a inizio 2018, e averlo difeso dal rifiuto del presidente francese, Emmanuel Macron, i membri del Consiglio lo hanno bocciato in nome della ricerca di un’ampia maggioranza che possa presentare un nome condiviso al Parlamento Ue.
Già nella tarda serata di giovedì, il co-presidente dei Verdi, Philippe Lamberts, e vari esponenti del Partito Popolare Europeo avevano fatto sapere che i liberali di Renew Europe e i Socialisti, che a loro tempo votarono a sostegno del sistema del lead candidate, avevano annunciato al candidato del Ppe, Manfred Weber, che non lo avrebbero sostenuto per l’incarico di presidente della Commissione europea. Secondo la prassi del candidato di punta, che non si è mai tradotta in una revisione dei Trattati, sarebbe stato proprio il politico bavarese ad aggiudicarsi il top job europeo, visto che era lui il nome espresso dal gruppo che ha ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento. Ma l’opposizione di Macron, che è poi riuscito a compattare sulle sue posizioni l’intera frangia liberale, il passo indietro di Viktor Orbán e, da ultimo, il mancato sostegno socialista hanno fatto naufragare, almeno per il momento, la sua candidatura, oggi sostenuta solo dai compagni di partito.
Come Weber, anche gli altri lead candidate espressi da Socialisti e Liberali, Frans Timmermans e Margrethe Vestager, non hanno ottenuto il sostegno della maggioranza qualificata (55% dei membri che esprimano almeno il 65% della popolazione europea) dei 28. “A causa di una certa impulsività da parte di chi sosteneva i diversi Spitzenkandidaten dei partiti europei, alla fine il metodo stesso potrebbe essere bocciato – ha ammesso il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al termine della cena dei leader Ue – C’è stallo, è stato dato mandato a Donald Tusk di parlare con i rappresentanti in Parlamento Ue per vedere di superare il criterio degli Spitzenkandidaten. Questa prospettiva è migliore per i nostri interessi”, ha poi aggiunto il capo del governo sottolineando di “non voler scoprire le carte” sul profilo che l’Italia ha intenzione si sostenere “per non bruciarlo”. “Deve essere un candidato forte e autorevole”, ha detto.
“È chiaro che nel momento in cui, anziché giocare con un certo fair play, dici brutalmente ‘no, questo no’, allora gli altri ti dicono che neanche il tuo (candidato, ndr) va bene. Ora il problema è che il criterio è quello preferito dal Parlamento, bisogna andarci cauti”, ha proseguito Conte che sembra far riferimento all’atteggiamento di Macron che, già dalla candidatura di Weber da parte dei Popolari, disse che si sarebbe opposto strenuamente alla sua nomina. “Stasera – ha concluso il premier italiano – non siamo passati a un criterio alternativo perché, come ho cercato di far capire, nella logica di una leale collaborazione tra istituzioni, se il Parlamento ti dice ‘vogliamo lo Spitzenkandidat‘ tu non dici ‘adesso no, ci mettiamo a discutere su altri’, perché poi il candidato deve passare la votazione anche in Parlamento”.
Da “pietra miliare della democrazia” a ostacolo: ascesa e caduta del candidato di punta
Sono passati solo cinque anni da quando la formula del candidato di punta è stata utilizzata, in occasione della nomina di Jean-Claude Juncker alla guida di Palazzo Berlaymont, e poi promossa a pieni voti dal Parlamento Ue, nel 2018, che volle dare continuità a una prassi che dà ai cittadini l’opportunità di votare il partito di riferimento consapevoli della persona che stanno andando a eleggere nella più alta carica dell’Unione.
In occasione del voto della plenaria, il relatore della proposta, il Popolare Esteban González Pons, spiegò che “l’Ue deve essere più democratica, più trasparente, altrimenti non sarà niente. Il fatto che i cittadini conoscano i candidati alla presidenza della Commissione europea prima delle elezioni è un passo importante nella giusta direzione”. Posizione condivisa anche dal presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, che anche nelle ultime ore è tornato, come tutto il Ppe, a fare cerchio intorno a Weber in nome del rispetto della formula dello Spitzenkandidat. Proprio il membro di Forza Italia dichiarò, quando la proposta venne promossa dalla plenaria di Strasburgo, che “la scelta del presidente della Commissione con il metodo degli Spitzenkandidaten utilizzato nel 2014 rappresenta una pietra miliare per un’Europa più democratica e più politica. Non dobbiamo fare passi indietro su questo. Dobbiamo rafforzare questo processo e continuare a lavorare per portare l’Europa e le sue istituzioni più vicine ai suoi cittadini, anche coinvolgendoli nelle decisioni dalle quali dipende il loro futuro”.
In vista del voto del 26 maggio, gli esponenti di tutti i partiti tradizionali avevano ripetuto in coro che contro i sovranismi era necessario che l’Ue si avvicinasse ai cittadini e promuovesse riforme che spingessero in direzione di una maggior trasparenza. Un progetto che lo stesso Parlamento ha definito “necessario”, tanto da votare, tra le altre cose, un pacchetto di misure che rende più trasparenti gli incontri tra membri delle istituzioni e lobbisti.
Ma oggi la situazione è cambiata: a differenza del 2014, per avere una maggioranza sia in sede di Consiglio che di plenaria è necessario un accordo tra almeno tre gruppi politici. Mentre cinque anni fa la maggioranza Ppe-Pse si spartì le tre presidenze di Commissione, Parlamento e Consiglio, dopo le elezioni del 26 maggio anche il volto liberale è diventato determinante. E proprio Renew Europe, con in testa Macron, si è opposta alla formula del candidato di punta: “Sulle nomine non abbiamo ancora finito il lavoro, ma da ieri sera abbiamo progredito, chiarendo la situazione e dando delle regole – ha dichiarato venerdì il presidente francese – Ieri è emerso che non c’è maggioranza chiara sui candidati del sistema degli Spitzenkandidaten. Questo sistema non è valido e dunque abbiamo deciso di rilanciare una procedura che sarà pilotata da Tusk affinché emergano nuovi nomi”. Una posizione che, dopo l’ultimo Consiglio Ue, è stata sposata anche dai Socialisti, sostenitori, almeno in origine, della formula del candidato di punta.