In un'intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno, Flavio D'Introno ha raccontato dei suoi incontri romani con i personaggi coinvolti nella vicenda dei summit per pilotare le nomine dei procuratori capo di mezza Italia. L'ex sottosegretario e l'ex presidente dell'Anm hanno smentito, la Procura di Lecce: "Nessun dato del genere è emerso nell’indagine"
“Ho fatto cene con Lotti, Savasta, Palamara“. Parola dell’imprenditore Flavio D’Introno, colui che con le sue denunce ha portato all’arresto nel gennaio scorso del pm Antonio Savasta e del gip Michele Nardi, all’epoca dei fatti contestati in servizio a Trani e accusati di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso. D’Introno – indagato nella stessa indagine che ha portato in carcere i due magistrati – ha rilasciato un’intervista audio alla Gazzetta del Mezzogiorno, raccontando dei suoi incontri a Roma con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e l’allora sottosegretario Luca Lotti, che aveva conosciuto – è la sua tesi – grazie “a miei clienti di piastrelle (all’epoca l’imprenditore vendeva rivestimenti, ndr), persone facoltose che stanno a Roma“. Nella sua ricostruzione al quotidiano barese, D’Introno ha accennato anche ai temi discussi nelle cene: “C’era il disciplinare di Savasta, c’era anche il fatto di Nardi”. Non solo.
Nelle dichiarazioni alla Gazzetta del Mezzogiorno, l’imprenditore ha anche raccontato di “una cena Lotti, Ferri, Nardi, io”. Il Ferri di cui ha parlato D’Introno è Cosimo Maria Ferri, magistrato, oggi deputato Pd e leader di Magistratura Indipendente, nonché uno dei personaggi finiti recentemente nel mirino insieme agli stessi Lotti e Palamara per le cene romane con cinque consiglieri del Csm in cui – secondo l’accusa – si è cercato di pilotare le nomine dei procuratori capo della Capitale e di altre città. A corredo delle sue ricostruzioni, inoltre, l’imprenditore di Corato ha assicurato di aver fornito diverse prove: “Ci sono diversi riscontri dati, sono stati sentiti ristoratori, a me mi conoscono, a Roma andavo sempre”. Poi ha ricordato come ha conosciuto Palamara: “Era un venerdì, me lo hanno fatto conoscere” ha concluso.
Una versione dei fatti completamente smentita da uno dei presunti commensali: “Non ho mai conosciuto e quindi mai incontrato l’imprenditore Flavio D’Introno: scrivere di un nostro incontro romano è semplicemente una bugia colossale. Ho dato mandato ai miei legali per tutelare la mia immagine da questa, ennesima, falsità” ha scritto in una nota l’ex sottosegretario Luca Lotti. Sulla stessa linea d’onda Luca Palamara, che ha parlato tramite i suoi legali: “La circostanza, definita una suggestione, è destituita del benché minimo fondamento” hanno scritto gli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti e Michele Di Lembo, che hanno minacciato denunce per diffamazione. Anche la Procura di Lecce, titolare dell’indagine su Savasta e Nardi, ha diramato una nota per specificare che “nessun dato del genere è emerso nell’indagine” in corso sulle sentenze e le inchieste pilotate negli scorsi anni da parte dei magistrati tranesi”.
Nell’articolo pubblicato oggi in prima pagina da La Gazzetta del Mezzogiorno è riportato anche che D’Introno ha “riempito altri quattro verbali con chi a Lecce conduce le indagini sul ‘sistema Trani‘”. In questi verbali, ha scritto il quotidiano pugliese, “oltre a fare i nomi di altri quattro giudici del circondario di Bari”, D’Introno ha “tirato fuori un’altra suggestione”, ha detto di avere “aiutato Savasta ad ‘agganciare’ Lotti e avrebbe cenato anche con lui e Palamara“. Queste affermazioni, ha osservato la Gazzetta del Mezzogiorno, “andranno riscontrate, soprattutto per capire se ci sono reati e se il fascicolo dovrà passare alla Procura di Perugia“. D’Introno secondo l’articolo, nel suo racconto al procuratore di Lecce, Leone de Castris, “ha parlato delle cene con dovizia di particolari, fornendo i nomi dei locali e illustrando una serie di circostanze”, non ultima “che a Lotti sarebbe arrivato tramite suoi facoltosi clienti“. Queste cene “sono servite per salvare Savasta, alle prese con una serie di contestazioni in sede disciplinare nate dai procedimenti penali per l’acquisto della masseria San Felice di Bisceglie e da almeno mezza dozzina di esposti anonimi”.