L’attacco degli Stati Uniti all’Iran non è arrivato, come programmato inizialmente, con dei raid aerei, ma con una cyber offensiva. Secondo quanto riporta il New York Times, Washington ha sferrato un’offensiva digitale contro un gruppo di intelligence iraniano che i servizi segreti Usa credono sia dietro all’attacco alle petroliere nel Golfo del’Oman. L’attacco dello Us Cyber Command è stato portato a termine lo stesso giorno in cui il presidente Donald Trump ha fermato i raid aerei contro stazioni radar e batterie missilistiche di Teheran.
Maggiori conseguenze le ha subite il sistema militare della Repubblica Islamica. Secondo i media internazionali, il cyber attacco ha “disabilitato” i sistemi informatici di controllo dei lanciamissili iraniani. Secondo gli esperti è comunque complicato, al momento, stabilire l’entità dei danni inflitti dagli hacker americani nei confronti del sistema missilistico degli ayatollah.
Continua così il periodo di tensione tra Washington e Teheran, tra presunti attacchi missilistici, risposte militari e dichiarazioni di fuoco tra le due parti. Ieri Trump ha prima ribadito che “l’Iran non può avere armi nucleari. Sotto il terribile piano di Obama, sarebbero stati sulla strada dell’atomica in breve tempo e il monitoraggio esistente non è accettabile”, promettendo “importanti sanzioni addizionali per l’Iran da avviare lunedì”. Salvo poi ammorbidire la propria posizione nell’arco di pochi minuti, dicendo di voler “rendere di nuovo grande l’Iran” e di essere pronto a trovare “un nuovo accordo”: “Let’s make Iran great again. Se gli ayatollah rinunceranno alle loro ambizioni nucleari, l’Iran può tornare a essere una Nazione prospera e grande. Non avranno mai la bomba atomica, e quando saranno d’accordo su questo io diventerò il loro migliore amico“.
La risposta del Parlamento iraniano non è stata morbida. Domenica i deputati hanno intonato lo slogan “Morte all’America”: “L’America è il vero terrorista che diffonde il caos, fornisce armi avanzate ai gruppi terroristici e ancora dice ‘venite, negoziamo’”, ha detto il vicepresidente del Parlamento, Masoud Pezeshkian. Il vice presidente per gli Affari Legali, Laya Joneydi, ha invece dichiarato che Teheran sta pensando a un’azione legale dopo l’invio del drone Usa nello spazio aereo iraniano poi abbattuto dal sistema di difesa degli ayatollah: “Inviare un drone spia nello spazio aereo iraniano è una chiara violazione della legge internazionale e per questo motivo stiamo valutando azioni legali contro gli Usa”.
Il consigliere per la Sicurezza Nazionale americano, John Bolton, durante l’incontro in programma a Tel Aviv con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha però avvertito l’Iran, dicendo che “non deve interpretare la prudenza degli Usa come debolezza”, aggiungendo poi che “i tentativi di Teheran di dotarsi di armi nucleari, la sua presenza in Siria e la sua consegna di armi ad elementi ostili in Medio Oriente non indicano che si tratti di un Paese che aspira alla pace“.
Seguendo la linea trumpiana, Bolton ha ribadito che l’obiettivo primario è quello di “impedire che l’Iran riesca a dotarsi di armi atomiche. Le nostre forze armate sono pronte a entrare in azione e sono le migliori al mondo”. Gli fa eco il vicepresidente, Mike Pence, che durante un’intervista alla Cnn dichiara: “Sia chiaro che risponderemo a ogni provocazione e a ogni minaccia contro gli interessi degli Stati Uniti”.
Le Guardie della Rivoluzione, per bocca del comandante della base Khatamolanbia dei Pasdaran, Gholamali Rashid, hanno anche loro lanciato un avvertimento a Washington, facendo sapere che un conflitto militare contro l’Iran avrebbe effetti imprevedibili e non controllabili nella regione: gli Usa “devono evitare errori e non mettere in pericolo le proprie forze, anzi salvaguardare le loro vite”.