La notizia è stata riportata da alcuni quotidiani in maniera distorta con la solita narrazione tossica. A Cremona, Jacob Danho Kouao ha ucciso a coltellate la figlia Gloria di appena due anni. La Repubblica scrive di uomo “sconvolto” dalla separazione e fa ricadere l’ombra della colpa sulla moglie che aveva chiesto la separazione. Ma Jacob Danho Kouao non era un uomo sconvolto, era un uomo violento.
Il fenomeno della violenza maschile nelle relazioni di intimità e il dominio che gli uomini vogliono esercitare contro le donne viene rimosso sulle pagine dei giornali ma anche nei luoghi che dovrebbero proteggere le vittime. Gloria non doveva stare col padre senza protezione perché da mesi si trovava in una Casa protetta insieme alla madre. La madre aveva fatto tutto ciò che c’era da fare per proteggere se stessa e la figlia. Si era rivolta al pronto soccorso per ricevere cure dopo un pestaggio che le aveva causato lo sfondamento del timpano, aveva denunciato le violenze del marito e chiesto protezione.
In un contesto di maltrattamento intra-famigliare è arcinoto che quando una donna si separa e dice basta ad un partner violento, aumenta il rischio di violenze più gravi che possono essere commesse anche nei confronti dei figli. Gli uomini che commettono violenze contro la compagna usano i figli come arma di ricatto, minacciano di sottrarli per sempre all’affetto della madre o minacciano di ucciderli. La richiesta di vedere o stare con i figli da parte dei violenti può essere strumentale e motivata dalla volontà di commettere ancora violenze e il servizio sociale è chiamato a valutare e vigilare sulla sicurezza dei bambini, predisponendo almeno visite vigilate quando ci sono i presupposti. In situazione di grave pericolo è meglio sospendere anche le visite vigilate. La scelta del servizio sociale non sarebbe comprensibile nemmeno se fosse stata la stessa madre a chiedere che la bambina stesse col padre. Anche in questo caso, il servizio sociale doveva negare il permesso.
La morte di Gloria ricorda quella di Federico Barakat ucciso dal padre il 25 febbraio del 2009 nella sede dei servizi sociali di San Donato Milanese durate una visita protetta. Antonella Penati, la madre di Federico Barakat, oggi presidente dell’associazione Federico nel Cuore mi ha detto di essere inorridita quando ha appreso la notizia. Queste le sue parole: “Quello che colpisce in queste vicende di bambini uccisi da uomini violenti, a partire da mio figlio Fedrico Barakat, ai fratelli Iacovone, fino all’uccisione di Gloria (ma purtroppo non sono gli unici casi) è che erano presenti denunce e segnalazioni ai servizi sociali che hanno agito con una disattenzione che ha portato ad esiti devastanti. In Italia abbiamo tre problemi. Il primo è la mancanza di preparazione dei servizi sociali rispetto agli interventi di tutela delle donne vittime di violenza e dei loro figli; il secondo è la mancanza di rispetto della Convenzione di Istanbul della Cedaw e della legge sul femminicidio; il terzo è dato dalla presenza di periti nei tribunali che quando ci sono separazioni che avvengono in un contesto di violenza o maltratamento familiare, diagnosticano alienazione parentale nei bambini che hanno paura del padre violento e invece di valutare la capacità genoriale eseguono diagnosi su disturbi di personalità delle madri vittime di violenze e consegnano i figli ai uomini violenti”.
Appena due giorni fa, commentavo il decreto del tribunale di Padova che dopo una Ctu affidava i figli ad un padre violento giudicandolo il genitore “più idoneo”.
Ma non si può scindere la violenza di un uomo dalla sua paternità. Un uomo violento con la compagna non può essere un padre finché non si prende la responsabilità delle azioni violente e cessa qualunque violenza, voglia di vendetta o rivalsa. Eppure le istituzioni continuano a consegnare bambini a uomini violenti, profondamente immersi nell’eco in una cultura che si difende dalla propria morte con ogni mezzo. Quella cultura che fino ad una manciata di decenni fa, garantiva al padre una posizione di dominio rispetto a tutti i componenti della famiglia gararantendogli l’arbitrio di essere possessore di moglie e figli. Ci sono leggi, convenzioni internazionali, protocolli che indicano come ci si deve comportare in situazioni di violenza, eppure le istituzioni procedono in una sorta di sonnambulismo e continuano a colludere o a cedere alla richieste di padri violenti che esigono che gli siano consegnati i figli. E’ ora che tutto questo finisca.
@nadiesdaa