Il generale Asamnew Tsige, la mente dietro il tentato golpe, è morto in un conflitto a fuoco con le forze governative. Domenica, nel Paese era esploso il caos dopo l'uccisione del presidente della regione Amhara, Ambachew Mekonnen, di un suo consigliere e del capo delle Forze Armate, Seare Mekonnen
Quattro morti eccellenti, tra cui il generale a capo dell’operazione, Asamnew Tsige. È l’unica certezza che resta, il giorno dopo il fallito colpo di stato in Etiopia. Le dinamiche, al contrario, non sono ancora del tutto chiare, ma soprattutto non è chiara la portata degli avvenimenti, che sono stati ridimensionati dal governo in carica a “golpe regionale”.
I fatti si sono svolti a Bahir Dar, capoluogo dello stato dell’Amhara, uno dei nove dell’Etiopia, che è appunto uno stato federale. Il portavoce del primo ministro Abiy Ahmed ha parlato di un commando, che, guidato dal capo della sicurezza dell’Amhara, avrebbe fatto irruzione durante una riunione sabato sera, uccidendo il presidente della regione Ambachew Mekonnen e il suo consigliere, mentre il procuratore generale è rimasto ferito. “Diverse ore dopo – ha spiegato il portavoce governativo – in ciò che appare esser stato un attacco coordinato, il Capo di stato maggiore delle forze armate etiopi, Seare Mekonnen, è stato ucciso nella sua abitazione dalla sua guardia del corpo”, nella capitale Addis Abeba. Morto con lui anche un generale in pensione che si era recato a fargli visita.
La guardia del corpo è stata subito arrestata, mentre il capo della sicurezza, il generale Asamnew Tsige, amnistiato un anno fa in seguito ad un simile tentativo di golpe, era dato in fuga. “La situazione nella regione dell’Amhara è ora totalmente sotto controllo del governo federale in collaborazione con il governo regionale”, ha dichiarato l’ufficio del primo ministro, aggiungendo che il fallito golpe “mira a sabotare la pace conquistata a caro prezzo nella regione”.
Secondo il ricercatore dell’International Crisis Group, William Davison, contattato dall’Afp, le intenzioni degli attaccanti non sono note: anche se non sembra potersi affermare che ci fosse un progetto organizzato per rovesciare il governo regionale, non si può nemmeno escluderlo. “Non esistono segni chiari di un tentativo di colpo di stato più ampio ad Addis Abeba” ha affermato.
Sta di fatto che il presidente della Regione rimasto ucciso era un alleato di Ahmed e, secondo Reuters, stava presiedendo una riunione per decidere misure contro il reclutamento di milizie su base etnica che veniva portato avanti dallo stesso Asamnew, che in un video diffuso una settimana fa su Facebook esortava gli Amhara ad armarsi contro gli altri gruppi etnici.
Ciò che è certo è che l’Etiopia oggi è uno dei traini del continente africano: non solo perché è il secondo paese per numero di abitanti (100 milioni), non solo perché l’economia cresce stabilmente attorno al 10 per cento annuo, né solo perché Addis Abeba è la sede dell’Unione Africana. Il vero motivo è che il giovane premier, Abiy Ahmed, da poco più di un anno al governo, ha impresso una convinta svolta democratica e riformatrice al Paese e all’intera regione: ha legalizzato alcuni gruppi dissidenti e rilasciato prigionieri politici, migliorato la libertà di stampa, fatto arrestare dozzine di responsabili dell’esercito e dei servizi per aver violato i diritti umani (fatto che gli ha procurato un buon numero di nemici). Senza dimenticare la storica pace siglata con l’Eritrea dopo un conflitto ventennale ed il ruolo egemonico che si sta ritagliando nel Corno d’Africa e in tutta l’Africa orientale.
Sotto la sua guida, il Paese ha ottenuto maggiore credibilità internazionale, anche se permangono tensioni etniche che rischiano i minare i tanti passi avanti. Lo scorso luglio, una granata è esplosa durante un incontro al quale partecipava lo stesso Abiy Ahmed, facendo due morti: il procuratore generale aveva parlato allora di un “ufficiale dei servizi segreti non identificato” come sospettato di tale attentato.
Tensioni latenti che per ora paiono non preoccupare eccessivamente gli investitori internazionali: è di questi giorni anche una missione governativa e imprenditoriale italiana, guidata dalla vice ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale, la pentastellata Emanuela Del Re, che dal 19 al 20 giugno ha condotto in Etiopia 34 imprese e 2 banche italiane, cui si sommano gli imprenditori in loco, italiani ed etiopi, per un totale di circa 200 aziende rappresentate. Un Paese in crescita e in via di stabilizzazione, nonostante gli elementi contrari che tentano di sabotarne il percorso.