Cultura

Mediterraneo Requiem: la cultura deve continuare a fare rumore (anche se a molti non piace)

“L’idea di mobilitarci per questa causa nasce dalla volontà di esprimere il nostro cordoglio e di resistere attraverso le nostre professioni alla barbarie cui assistiamo. In quest’epoca buia, dove i principi della Costituzione vengono sistematicamente calpestati, il nostro pensiero è andato al grande maestro Arturo Toscanini. Quando un grande artista si espone pubblicamente per difendere i valori democratici non rappresenta solo se stesso, ma coinvolge necessariamente il mondo culturale di cui fa parte: e così facendo semina il dubbio e attiva un confronto”. Un centinaio di artisti del Comitato nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche ha scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nessuna richiesta particolare. Soltanto un invito al “Mediterraneo Requiem – in memoria delle vittime del mare”, un evento di commemorazione per i migranti che hanno perso la vita in questi anni e che continuano a morire. Un’iniziativa, quella del 24 giugno nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, a Roma, che prevede l’esecuzione del Requiem di Fauré, diretta dal Maestro Fabio Biondi e preceduta da alcune letture sul tema a cura di Davide Livermore.

“Noi non abbiamo la pretesa di rappresentare tutto il mondo della musica classica o delle fondazioni liriche, ma abbiamo la speranza di innescare un circolo virtuoso, dove ogni musicista si senta investito del mandato costituzionale, perché la musica e tutto il patrimonio culturale hanno una funzione civile e sociale, cosa oggi assai trascurata anche dalle stesse istituzioni che noi rappresentiamo”, hanno scritto gli artisti del coro dai teatri Petruzzelli di Bari, Comunale di Bologna, Lirico di Cagliari, Maggio Musicale Fiorentino, Carlo Felice di Genova, San Carlo di Napoli, Regio di Parma, Opera di Roma, Regio di Torino, Arena di Verona, Fenice di Venezia e dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Potrà sembrare controcorrente occuparsi davvero di migranti, ma ne vale la pena. Potrà apparire sostanzialmente inutile dedicare una riflessione a quanti hanno incontrato la morte affrontando il viaggio dall’Africa all’Italia, ma non lo è. Soffermarsi sulle atrocità che lasciano è un dovere. Di ogni uomo che si ritenga civile. Eppure troppo spesso questo non accade, anche per alcune scelte scriteriate di chi sopraintende alle politiche nazionali e transnazionali. Anche per questo motivo la morte continua ad albergare in mare.

Il medico, mostrando la foto di un barcone con 860 persone, racconta di quelli che non ce l’hanno fatta. Soprattutto di quelli che per giorni navigano sottocoperta, stanchi, affamati, disidratati, fradici e ustionati dal carburante. Commosso e sconvolto, il dottore racconta di quanti ne ha potuti curare e di quanti, invece, ha dovuto ispezionare i cadaveri recuperati in mare, tra cui tante donne e bambini. Fuocoammare, il docufilm di Gianfranco Rosi che nel febbraio 2016 ha vinto l’Orso d’oro al festival di Berlino, racconta il dramma dei migranti a Lampedusa. Racconta dei sopravvissuti e di quei tanti che non ce l’hanno fatta. Uomini, donne e bambini. Anzi, Persone. Troppe volte senza identità. Quasi fantasmi dei quali non si conosce quasi nulla. Di loro rimangono bigliettini scritti con numero di telefono, probabilmente di familiari da raggiungere, cellulari avvolti nel cellophane in un tentativo disperato di salvarli dall’acqua, anellini, foto di famiglie, orologi e pure una boccetta di profumo di una ragazza marocchina. Solo in rari casi, i passaporti. Tutto conservato al Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo, proprio a Lampedusa. Il Museo, che è diventato il luogo fisico per ricordare gli oltre 34mila morti in mare nella traversata dall’Africa all’Europa, permette di avvicinarsi all’inferno. Per questo bisognerebbe andarci. Per rendersi conto di quel che accade ad altri uomini, meno fortunati di altri.

Nel bacino dell’Arsenale, a Venezia, c’è il peschereccio libico inabissatosi il 18 aprile 2015 nel canale di Sicilia, che fece 700 vittime. L’artista svizzero Cristoph Buchel ha voluto che alla 58esima Mostra d’arte nella città lagunare ci fosse anche il simbolo delle morti in mare. Un modo per “smuovere le coscienze”. Anche qui sarebbe consigliato andare. Vedere può essere utile. Rimane incomprensibile come di fronte a questo impegno della cultura per rendere note le atrocità di tante morti, molti governi possano continuare a rimanere sordi. L’intransigenza penalizza i deboli. Anzi, non ne tiene in alcun conto il sacrificio.

“La cultura e le arti non devono stare fuori dalla realtà, anzi possono descriverla e denunciarla, sollecitando al contempo l’adesione a valori universali come la solidarietà, la giustizia, la compassione”. Questo sostengono gli artisti che hanno scritto al Presidente Mattarella. Per questo il loro tentativo di coinvolgimento è ammirevole. Perché “la cultura e le arti non devono stare fuori dalla realtà”. Insomma devono continuare a fare rumore, anche se a molti questo non piace.