"Singoli individui" sulla nave hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Il governo italiano dovrà dare un riscontro entro oggi pomeriggio, poi i giudici potranno chiedere a Roma di adottare "misure urgenti" per "impedire irrimediabili violazioni dei diritti umani". Portavoce: "A bordo trattamento inumano e degradante". Vescovo di Torino: "Accogliamo noi i migranti"
Bloccata da 12 giorni a 16 miglia al largo di Lampedusa con a bordo 43 migranti, la Sea Watch 3 si è rivolta alla Corte di Strasburgo per chiedere “misure provvisorie” che consentano lo sbarco dei migranti in Italia. La Commissione europea è intervenuta chiedendo agli Stati di “trovare una soluzione” e Matteo Salvini ha ribadito che il porto dell’isola rimane chiuso, invitando Germania e Olanda a farsi carico delle persone a bordo.
A diffondere notizia è stata la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, che precisa di aver rivolto una serie di domande sia alla ong che al governo italiano. Entrambi dovranno rispondere entro oggi pomeriggio poi la Corte, in base ai suoi regolamenti, potrà chiedere all’Italia di adottare quelle che vengono definite “misure urgenti” e che “servono ad impedire serie e irrimediabili violazioni dei diritti umani“.
Un portavoce della Cedu ha spiegato che la ong potrebbe evocare il diritto alla vita previsto dall’articolo due della Convenzione europea dei diritti umani – secondo cui “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge” e l’articolo 3 della stessa Convenzione sulla proibizione della tortura, secondo cui “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” – per sollecitare misure ad interim che permettano lo sbarco. La Corte aspetta entro stasera le risposte del governo italiano e della stessa Ong prima di prendere una decisione in merito.
Poco dopo la comunicazione della corte, Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, ha specificato la natura del ricorso: “Effettivamente è stato fatto un ricorso, non dall’organizzazione ma dai singoli individui presenti a bordo che hanno il diritto di adire i propri diritti umani alla corte europea”. “In particolare, il ricorso è stato fatto in riferimento all’art.3 della Convenzione che descrive quello a bordo come un trattamento inumano e degradante e si chiede quindi alla Corte di indicare all’Italia delle misure che possano in qualche modo ridurre la sofferenza a cui le persone a bordo sono costrette in questo momento nell’interesse della tutela della loro dignità”, ha concluso Linardi.
Da Bruxelles è arrivato l’ennesimo appello agli Stati dell’Ue: “Pur apprezzando il fatto che l’Italia abbia proceduto all’evacuazione di un numero di persone dalla Sea Watch 3 per ragioni mediche”, la Commissione europea appello “agli Stati membri” per trovare “una soluzione per le persone che sono rimaste a bordo”. Lo ha fatto sapere una portavoce parlando di “imperativo umanitario” e ribadendo che l’esecutivo comunitario “continuerà a fare tutto il possibile, nell’ambito delle nostre competenze, per sostenere e coordinare eventuali sforzi di solidarietà“.
In mattinata la diocesi di Torino “si è detta disponibile ad accogliere le 43 persone che sono a bordo della Sea Watch al largo di Lampedusa, senza oneri per lo Stato, perché al più presto si possa risolvere una situazione grave e ingiusta“, ha spiegato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, al termine della messa per San Giovanni, patrono del capoluogo piemontese. “Siamo pronti. Se il governo e il ministro sono d’accordo li andiamo a prendere e li portiamo su, ma credo sia una disponibilità che potrebbe essere accolta per trovare uno sbocco a questa situazione”, ha concluso Nosiglia. “E’ un appello molto significativo, un modo anche per scuotere le coscienze di tutti”, ha commentato la sindaca di Torino, Chiara Appendino.
La Diaconia Valdese ha voluto far sentire la propria voce. L’ente ecclesiastico che gestisce le strutture di accoglienza della Chiesa valdese ha scritto al Quirinale. “Ci appelliamo a Lei – si legge nella missiva – affinché non venga assunto dall’Italia alcun provvedimento che sia in contrasto con il rispetto dei diritti umani, il buon senso e l’eredità politica, giuridica e umana che ci è stata consegnata dai Padri costituenti, che vede il sacro e inderogabile principio della solidarietà richiamato nell’art. 2 della nostra Costituzione“.
Anche il Partito democratico ha sentito l’esigenza di dire la sua: “Assistiamo a un’ennesima danza macabra sulla pelle di povere persone che vivono le contraddizioni della nostra Europa e della nostra Italia – ha detto il segretario del Pd Nicola Zingaretti al termine della prima riunione della segreteria dem al Nazareno – Vanno subito fatti sbarcare e denuncio: in sei riunioni su sette dei ministri degli Interni in Europa noi non c’eravamo”.
Nonostante gli appelli, Salvini resta sulla sua posizione: “L’Unione Europea vuole risolvere il problema Sea Watch? – domanda su Twitter il ministro dell’Interno – Facile. Nave olandese, ong tedesca: metà immigrati ad Amsterdam, l’altra metà a Berlino. E sequestro della nave pirata. Punto”.
Da dodici giorni in mare – Sea Watch è da oltre 12 giorni bloccata in mare perché il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha stabilito nei confronti della nave il divieto di sbarco previsto dal nuovo Decreto Sicurezza bis e domenica ha scritto una lettera all’Olanda per chiederle di farsi carico della situazione: “Sono incredulo perché si stanno disinteressando di una nave con la loro bandiera, peraltro usata da una ong tedesca, che da ormai undici giorni galleggia in mezzo al mare. Riterremo il governo olandese e l’Unione europea assente e lontana come sempre responsabili di qualunque cosa accadrà alle donne e agli uomini a bordo della Sea Watch”.
Sulla questione il vicepremier tiene il punto: dopo aver fatto sbarcare dieci delle 53 persone che sono state ritenute più vulnerabili, lasciando a bordo anche dei minori, l’equipaggio ha ricevuto dal governo il divieto firmato da Salvini, Danilo Toninelli e Giovanni Tria a entrare nelle acque territoriali italiane, in applicazione della nuova normativa prevista dal Decreto Sicurezza bis, che consente di impedire l’accesso nelle acque territoriali italiani a imbarcazioni “indesiderate” o considerate dal ministero dell’interno fonte di pericolo.
La Ong replica che prevalgono le leggi del mare (che obbligano sempre a prestare soccorso ai naufraghi) e i trattati internazionali e nei giorni scorsi ha presentato un ricorso al Tar del Lazio che, però, lo ha respinto spiegando che la questione non poteva essere trattata con urgenza, come invece richiesto da Sea Watch. Una bocciatura “non nel merito della questione”, ma tecnica, precisano dall’organizzazione.
Finora a niente è servito anche l’appello delle Nazioni Unite, con il portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Babar Baloch, che nei giorni scorsi ha dichiarato che “l’Italia ha la responsabilità di far sbarcare queste persone. Questi disperati devono essere sbarcati, è un obbligo sancito dalle norme internazionali”.