Passando ad analizzare i detenuti presenti nelle carceri italiane (Tab. 5) risulta che l’incidenza dei detenuti stranieri sul totale (italiani e stranieri) nel periodo 2010-2018 è diminuita dal 36,7% al 34%, confermando quel trend che mostra un decremento della popolazione carceraria (complessivamente -12,2%), cui fa riscontro un calo molto più consistente di quella straniera (-18,8%), rispetto a quella dei nostri connazionali (-8,4%).
L’esame per età (Tab. 6) mette in evidenza come la popolazione detenuta, che nel 2010 era per circa il 60% al di sotto dei 40 anni (nel 2018: 49%), presenti un numero di stranieri ancora più rilevante in tale fascia (78,6% nel 2010; 70,1% nel 2018), riflettendo la composizione della piramide per età della popolazione non italiana, particolarmente giovane. Tra i 25 e i 59 anni si concentrava (86,5%) e si concentra (89,6%) la maggior parte dei detenuti italiani, mentre la popolazione di detenuti stranieri si focalizzava, nel 2010, all’86,6% tra i 21 e i 44 anni e continua a concentrarsi in tale fascia nel 2018 per il 79,2%.
La composizione per provenienza dei detenuti stranieri (Tab. 7) rimane pressoché stabile nel tempo (2010-2018), con una presenza di detenuti africani pari a circa la metà del totale e di quelli europei intorno al 35% (di cui tra il 18% e il 19% extra-Ue), nei due anni agli estremi del periodo.
Ai primi posti, in numero assoluto, si collocano nel periodo 2010-2017 (Tab. 8) marocchini, albanesi, rumeni, tunisini e nigeriani. Se, però, si rapporta il numero dei detenuti per ciascuna nazionalità rispetto alla presenza della propria etnia nel nostro Paese, si nota (2017) una certa maggior propensione a delinquere di algerini, tunisini e gambiani. Il raffronto tra 2010 e 2017 evidenzia l’anomalia dei gambiani (189,7 detenuti per mille residenti nel 2010, che tuttavia rappresentavano una comunità molto esigua di poco oltre mille unità), nonché la flessione nel delinquere di tutte le etnie e, in particolare, degli africani che occupano le prime posizioni.
Un altro argomento che si è voluto considerare è la percezione degli italiani rispetto alla criminalità (Tab. 9), che, nel periodo 2002-2016, registra un miglioramento riguardo alla paura di subire reati, quali, in particolare, il furto d’auto e la violenza sessuale, mentre più o meno stabile rimane il timore di subire furto in appartamento, scippo, aggressione.
Sempre in tale periodo si può osservare un decremento sia di chi si sente sicuro a camminare con l’oscurità (Graf. 7), sia di chi è preoccupato per una violenza sessuale (Graf. 8). Tali decrementi si sono verificati in tutte e tre le ripartizioni geografiche: nord, centro e sud. Tuttavia, va osservato che il livello di insicurezza trova un diverso grado di sensibilità nel Centro-Nord e nel Sud: nel 2002 nella prima ripartizione geografica era un po’ più elevata la paura di camminare al buio, ma più bassa quella di subire violenza sessuale, rispetto a chi risiede nel Mezzogiorno; nel 2016 diminuiscono le paure in entrambi gli ambiti, ma soprattutto nel secondo e, in particolare, per i meridionali.
La Tab. 10 conferma una diminuzione di chi teme di subire violenza sessuale, soprattutto nelle persone più giovani, in particolare, per le classi di età comprese tra 14-19 anni (da 48,5% a 30,6%) e tra 35-44 anni (da 44% a 33%). Per il totale delle persone di 14 anni e più vi è stata una diminuzione di 7,6 punti passando da 36,3% per il 2002 a 28,7% per il 2016.
Infine, analizzando il numero di crimini per provincia (Graf. 9 e Tab. 11), sono quelle del Centro-Nord a subire il maggior numero di reati, con Milano in testa e Roma al settimo posto, nonostante una popolazione più che doppia, cui fa riscontro, nel 2018, un indice di criminalità percepito nelle grandi città che mette Napoli in testa, seguita da Catania e Torino. Tali centri nel 2013 si classificavano in una posizione più favorevole.
In sintesi, al di là della percezione – che dipende dalle esperienze, dal livello di sensibilità e di capacità critica, rispetto a quanto viene comunicato – ancora una volta i numeri ci dicono che – nella realtà – il nostro è un paese con una criminalità, sulla base dei dati ufficiali disponibili, in diminuzione in cui, forse, occorrerebbe diffondere una cultura del numero e, quindi, della realtà, piuttosto che soffermarsi su pochi fatti eclatanti, che non rappresentano la norma, ma l’eccezione.
Ha collaborato Mariano Ferrazzano