Il Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco) ha chiesto alle autorità italiane informazioni sul caso che ha investito Palazzo dei marescialli. Le risposte fornite dall’Italia sono già state discusse la scorsa settimana. L'organo anticorruzione ha chiesto a Roma un aggiornamento entro dicembre. Greco sta ancora valutando se e come sono state recepite dalle autorità nazionali le raccomandazioni fatte a suo tempo per prevenire la corruzione in seno alla magistratura
L’Europa vuole informazioni sull’inchiesta che ha travolto il Consiglio superiore della magistratura. I summit notturni tra i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri e consiglieri del Csm per manovrare le nomine dei procuratori diventano oggetto d’interesse per il Greco, il massimo organo anticorruzione del Consiglio d’Europa. D’altra parte in quegli incontri Lotti – sul quale pende una richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura di Roma per l’inchiesta Consip – partecipava a discussioni con cinque consiglieri del Csm (quattro dei quali si sono dimessi) che avrebbero dovuto votare per il futuro procuratore capo della Capitale. In pratica un imputato ha cercato di scegliersi il magistrato che avrebbe dovuto metterlo sotto accusa.
Un paradosso. Ed è per questo motivo che nei giorni scorsi il Gruppo di Stati contro la corruzione ha chiesto alle autorità italiane informazioni sui recenti sviluppi del caso che ha investito il Csm. Le risposte fornite dall’Italia sono già state discusse la scorsa settimana. L’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa di chiedere a Roma un aggiornamento entro dicembre, anche alla luce di una situazione in evoluzione e delle difficoltà a esprimere un giudizio. “Greco sta seguendo molto attentamente quanto sta accadendo in Italia sulla questione del Csm”, ha detto Gianluca Esposito, segretario esecutivo dell’organo anti-corruzione.
A Strasburgo si spiega che la richiesta di informazioni all’Italia è stata fatta perché Greco sta ancora valutando se e come sono state recepite dalle autorità nazionali le raccomandazioni fatte a suo tempo per prevenire la corruzione in seno alla magistratura. Nel rapporto di conformita pubblicato il 13 dicembre del 2018, il massimo organo anticorruzione del Consiglio d’Europa promuoveva per la prima volta, seppur con riserva, l’Italia. Strasburgo riconosceva a Roma di aver “fatto progressi nella prevenzione della corruzione nel sistema giudiziario ma molto resta ancora da fare per mettere in opera tutte le raccomandazioni che le sono state rivolte”.
Una sorta di “sei meno”, che rappresentava comunque una promozione. Tra gli elementi che “salvavano” la pagella dell’Italia Strasburgo evidenziava “i progressi fatti sul fronte della giustizia e per prevenire e sanzionare la corruzione in seno alla magistratura”, e la decisione presa dal Consiglio Superiore della magistratura di introdurre dal gennaio 2018 un meccanismo di controllo sistematico sulle dichiarazioni finanziarie dei magistrati. Ironia della sorte, proprio il caso di una presunta corruzione di magistrati porta adesso il sistema italiano al centro delle analisi del Greco. Nel dicembre scorso, infatti, gli analisti di Strasburgo spiegavano che “è necessario dimostrare che un livello accettabile di conformità con le raccomandazioni può essere raggiunto entro i prossimi 18 mesi”. Tra quelle raccomandazioni c’era anche l’invito ad adottare misure che regolino il passaggio dei magistrati in politica e viceversa.
È il caso di Cosimo Ferri, l’uomo cerniera tra politica e giustizia. È uno dei personaggi degli incontri notturni per manovrare le nomine del Csm, registrati dal trojan installato sul cellulare di Luca Palamara, il pm accusato di corruzione dalla procura di Perugia. Doppio figlio d’arte (il padre fu magistrato e politico col Psdi, ministro del governo De Mita), Ferri è ancora oggi il leader di Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe, nonostante sia oggi in aspettativa dalla magistratura dopo essere entrato in politica. Nominato sottosegretario alla giustizia dei governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, considerato all’inizio in quota Forza Italia – partito al quale aveva aderito il padre negli anni ’90 – non si dimette dopo che Silvio Berlusconi toglie il sostegno all’esecutivo. Si definiva un “tecnico“, prima di ottenere dal Pd un seggio alla Camera alle elezioni del 2018. È praticamente il simbolo delle porte girevoli tra politica e giustizia.