Ridimensionamento di Fiumicino e di Linate, rafforzamento della partnership con Delta per l’intercontinentale con tagli ai costi della commercializzazione e della forza lavoro (740 esuberi solo per il personale di terra), riapertura dei colloqui con AirFrance per una joint venture europea a medio raggio, riduzione della flotta. Sono questi i punti chiave del piano industriale delle Ferrovie dello Stato per Alitalia. In una bozza recente da circa 35 pagine pagine, che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, si tracciano per sommi capi gli interventi da realizzare entro il 2023 per mettere in sicurezza l’ex compagnia di bandiera. Si precisa inoltre che l’intero progetto è stato sviluppato assieme a Delta con l’obiettivo di “predisporre un operatore multi-modale pronto all’apertura del mercato europeo dell’alta velocità previsto per il 2020 che modificherà il contesto competitivo e aprirà opportunità a Fs nei mercati esteri già presidiati da Fs”, come si legge nel documento.
Nella bozza si parla di una generica rifocalizzazione della compagnia sui “mercati con minore concorrenza delle low cost” con l’uscita da tutte le rotte non profittevoli. È poi in programma una generica e non meglio specificata “revisione degli accordi della joint venture transatlantica per permettere ad Az di crescere sul mercato Nord Americano” grazie anche al rafforzamento della collaborazione degli altri partner Sky team. Alleanza di cui però fa parte anche AirFrance con cui bisognerà “negoziare una joint venture su medio raggio”. Non manca il riferimento alla “ottimizzazione dei costi operativi” e all’aumento della “produttività delle risorse (flotta e personale)” e una spinta allo sviluppo del trasporto intermodale attraverso strategie commerciali ad hoc. Ma con una flotta ridimensionata con il numero di aeromobili che nel periodo oggetto del piano scende da 118 a 109.
“Il turnaround focalizzato da subito (2020-21) sul recupero di profittabilità riducendo i costi e modificando strutturalmente i network; seconda fase (2022-23) incentrata sulla sostenibilità degli interventi con crescita graduale, recupero di scala e raggiungimento di performance economiche allineate a quelle di mercato”, come di legge nel piano che è in fase “evolutiva”. Anche perché nell’azionariato continua a mancare un tassello, un socio che dovrà mette sul piatto oltre 300 milioni per il 40% dell’azienda. In lizza sono rimasti sostanzialmente in tre: da un lato Atlantia che però ha in corso un braccio di ferro con il ministero delle Infrastrutture dei pedaggi autostradali di Autostrade per l’Italia e delle tariffe aeroportuali degli Aeroporti di Roma nonché con la parte pentastellata del governo sulla revoca della concessione che potrebbe incrociarsi in uno scambio – secondo alcuni retroscena – proprio con la partita della compagnia aerea; dall’altro il patron del Lazio Claudio Lotito, che però ha chiesto la cloche di comando creando tensioni con gli americani di Delta, e il gruppo Toto, che sembrava ormai fuori dai giochi e invece è tornato alla carica. Ago della bilancia potrebbero essere le Ferrovie e il Tesoro, che nella futura compagine azionaria dovrebbero avere rispettivamente il 15 e il 30 per cento.
Quanto agli effetti delle misure, nei termini del piano, Ferrovie e Delta si attendono un aumento del fatturato da circa 500 milioni fra il 2018 e il 2023, con i ricavi totali che passeranno da 3,1 miliardi a 3,6 miliardi. I costi operativi resteranno invece sostanzialmente stabili, mentre la redditività migliorerà arrivando ad un ebit postivo per 134 milioni nel 2023. Gli obiettivi verranno realizzati tagliando circa 3 destinazioni da Fiumicino, sostituendo le tratte brevi con l’alta velocità su città come Pisa, Firenze e Napoli. Ma introducendo due nuove rotte verso la Sardegna (Alghero e Olbia). Ancora più pesante la razionalizzazione per Linate dove ci sarà “una riduzione netta di circa 15 destinazioni” con l’apertura delle nuove rotte, ritenute più redditizie di Stoccolma, Copenhagen, Helsinki, Lisbona e Vienna.
“Se è questo il piano delle Ferrovie, il sindacato non ci sta”. Per il segretario nazionale della Cub, Antonio Amoroso, “il progetto in questione, così com’è, è un ridimensionamento che implica licenziamenti, tagli salariali e inaccettabili peggioramenti normativi”, spiega il sindacalista evidenziando come il piano preveda circa 35 milioni di tagli per piloti e assistenti di volo, oltre a 740 esuberi per il personale di terra. Per la Cub, il piano non ha “alcuna visione di lungo periodo” che “manca da tempo al Paese”. “Credo di non aver mai visto un progetto industriale pluriennale per il trasporto aereo che invece avrebbe bisogno di certezze”.
Con il rischio che, alla fine, a pagare il conto dell’operazione siano i lavoratori assieme ai contribuenti visto che lo Stato, oltre ad aver concesso la cassa integrazione a larghe mani, ha dato all’ex compagnia di bandiera un prestito ponte da 900 milioni, denaro che difficilmente tornerà nelle casse pubbliche e che, insistendo sul ridimensionamento, rischia solo di andare definitivamente perso. “Credo il governo dovrebbe nazionalizzare Alitalia, visto che l’ha già pagata e può prenderla subito evitando interventi dell’Unione”, conclude il sindacalista. Ma la scelta politica non è facile soprattutto in assenza di un piano di lungo periodo per l’intero sistema nazionale dei trasporti.