L’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli era la “sede sociale” dell’Alleanza di Secondigliano. Lo ha spiegato il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, commentando l’operazione anti camorra che ha potato a 126 arresti. Un’inchiesta che ha decapitato i clan Contini, Mallardo e Licciardi e portato al sequestro di un ingente patrimonio nei confronti delle persone colpite dai provvedimenti cautelari emessi dal gip di Napoli. “Gli uomini dei Contini controllavano il funzionamento dell’ospedale, dalle assunzioni, agli appalti, alle relazioni sindacali. L’ospedale era diventata la base logistica per trame delittuose, come per le truffe assicurative attraverso la predisposizione certificati medici falsi”, ha detto Melillo durante la conferenza stampa del maxi-blitz. La ministra della Salute Giulia Grillo chiederà lo scioglimento dei vertici dell’ospedale per infiltrazione mafiosa al Comitato nazionale per la sicurezza e l’ordine pubblico di domani, giovedì.
Oltre agli arresti, eseguiti in tutta Italia e in alcuni Paesi esteri, l’operazione ha portato la Guardia di finanza a mettere i sigilli a beni mobili e immobili riconducibili ai clan dell’Alleanza per un totale di circa 130 milioni di euro. Si tratta di uno dei colpi più duri inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura al cartello criminale fondato alla fine degli anni ’80 dai boss Edoardo Contini, detto “ò Romano”, Francesco Mallardo, soprannominato “Ciccio ‘e Carlantonio” e da Gennaro Licciardi, alias “à scign”.
“Una talpa nell’ufficio gip” – L’indagine ha ricostruito come il clan Contini riuscisse ad anticipare e prevenire le azioni di contrasto di magistratura e forze dell’ordine grazie a una rete di fiancheggiatori tra i quali figura anche una dipendente dell’Ufficio Gip del Tribunale di Napoli. Si tratta di Concetta Panico (finita ai domiciliari), imparentata con Antonio Pengue (in carcere), uno dei presunti affiliati al clan. Quest’ultimo, attraverso la Panico, nel 2014, venne a conoscenza in anticipo dell’emissione di una ordinanza di custodia per 90 presunti esponenti al clan Contini. A gestire la rete di fiancheggiatori era il gruppo dei Contini, che fa capo ad Antonio Muscerino. In quell’occasione Pengue ricevette rassicurazioni sul fatto che tra gli indagati non figuravano nè lui nè Muscerino. Il tutto emerge da alcune intercettazioni. In sostanza la Panico, è emerso dalle indagini, attraverso un accesso abusivo al sistema, era riuscita a visualizzare, il 15 gennaio 2014, l’elenco dei destinatari delle misure cautelari che vennero poi eseguite.
“Denaro da chi ospitava i rifugiati” – Il blitz ha interessato non solo la provincia di Napoli e altre regioni italiane ma anche diversi Stati esteri, dove i militari dell’Arma – tramite l’Interpol – si sono avvalsi della collaborazione delle locali forze di polizia. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea, hanno portato alla contestazione agli indagati di numerosi reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso al traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione, all’usura, al riciclaggio ed altri gravi reati. Di fatto – secondo i pm antimafia Ida Teresi, Alessandra Converso e Maria Sepe coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – sono stati ricostruiti gli assetti gerarchici interni all’Alleanza di Secondigliano e sono stati documentati i numerosi reati commessi dagli affiliati, “indicatori della pervicace capacità di intimidazione esercitata sul territorio”. Il clan Contini, inoltre, stando alle indagini, prendeva una quota del denaro che un albergatore napoletano percepiva dalla Regione Campania per ospitare i rifugiati. Questo dimostra, ha detto ancora il questore di Napoli, “l’agilità del clan, in grado di sfruttare a proprio favore anche i flussi migratori”. A questo particolare business era deputata una frangia del clan Contini.
I boss? Erano anche le donne – Anche le donne erano a capo dell’Alleanza di Secondigliano: l’inchiesta sha confermato il ruolo apicale delle tre sorelle Aieta (sposate con Edoardo Contini, Francesco Mallardo ed Patrizio Bosti, ndr) e di Maria Licciardi (sorella del defunto boss Gennaro Licciardi e l’unica facente parte dei vertici ad essere sfuggita al blitz). Non solo svolgevano il compito di tenere i contatti con i boss al 41bis ma prendevano decisioni importanti per la vita del potente cartello criminale che controllava le attività illecite in alcuni quartieri di Napoli e che avevano messo in piedi anche attraverso prestanome importanti attività imprenditoriali e commerciali in tutta Italia.
Anche un avvocato tra gli indagati – Tra gli indagati c’è anche un noto avvocato napoletano che ha tra i suoi clienti il Patrizio Bosti: è accusato da alcuni collaboratori di giustizia di avere tenuto in piedi una interlocuzione tra il boss Edoardo Contini, detenuto al 41bis, e gli affiliati di alto rango dell’omonimo clan. Stamattina le forze dell’ordine hanno eseguito delle perquisizioni nei suoi uffici. Al penalista la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli contesta il concorso esterno in associazione mafiosa. La Procura ha chiesto che all’avvocato venisse notificata una misura cautelare, istanza rigettata però dal gip di Napoli Roberto D’Auria.