“Mio padre voleva morire, l’ospedale non glielo ha consentito. Ha impedito di interrompere le cure, come richiesto dai figli, di accompagnarlo verso il fine-vita o di dimetterlo”. L’avvocata Giovanna Augusta de’ Manzano ha presentato un esposto alla procura di Trieste sulla morte del padre. Claudio de’ Manzano, a metà dicembre scorso, è stato colpito da ischemia cerebrale, è rimasto semiparalizzato, poi incapace di riconoscere i familiari. Qualche giorno dopo il ricovero nel reparto di neurologia dell’ospedale di Cattinara, racconta la figlia, è apparso chiaro che “non sarebbe guarito e non avrebbe più avuto una vita dignitosa, ma sarebbe rimasto in uno stato vegetativo”.
I familiari, si riporta nell’esposto, hanno chiesto ai medici se avrebbero dovuto nominare un amministratore di sostegno, anche per prendere decisioni riguardanti la salute dell’uomo. In un primo tempo, sostengono, è stato risposto negativamente. Claudio de’ Manzano però, “si ribellava alle cure, aveva cercato più volte di togliersi la flebo con l’unica mano che riusciva a muovere. E quando era sano aveva manifestato la propria decisa contrarietà ad ogni accanimento terapeutico”. L’accusa è che nessuno dei medici avrebbe informato i familiari del diritto del paziente a rifiutare le terapie, come previsto dalla legge 291 del 2017. E avrebbero anche rifiutato di ascoltare le richieste dei figli sull’interruzione delle terapie e sulla sedazione profonda, preludio alla morte. “Mi auguro che nessuno debba mai più trovare tanti ostacoli nell’affrontare un percorso di ‘fine-vita’, visto che c’è una legga chiara che autorizza e impone la sospensione delle terapie”, dichiara l’avvocata de’ Manzano.
Vista la situazione di stallo, la figlia ha preso contatti con l’associazione Luca Coscioni che l’ha aiutata a fare gli adempimenti per essere nominata amministratore del padre e per individuare un hospice disposto ad accogliere il signor Claudio. Ma il braccio di ferro con i medici e il giudice tutelare è andato avanti, finché il 19 gennaio scorso i figli hanno presentato un ulteriore ricorso al magistrato per interrompere ogni cura. Sono dovuti trascorrere ancora una decina di giorni e, finalmente, il 30 gennaio il paziente è stato dimesso e trasferito alla casa di cura Salus di Trieste, che si era dichiarata disponibile. Dopo 18 giorni, il decesso.
“E’ stato un calvario, per questo ho presentato la denuncia. Quello che ho fatto per mio padre è stato mantenere un giuramento a lui, mio ultimo gesto di amore, e l’amore richiede coraggio”, continua la figlia. “Mio padre è morto di fame e di sede, sedato, e ciò perché non esiste ancora una legge sull’eutanasia in Italia che affronti la morte con più rispetto per la persona. Questo non mi sembra un bel modo di morire”.
Sarà la Procura di Trieste a dover accertare se la struttura sanitaria ha rispettato le norme di legge e se il rifiuto ad interrompere le cure o a dimettere il paziente sia stato legittimo. L’ospedale di Cattinara ha già respinto le accuse e, in una nota ufficiale, ha precisato: “Abbiamo rispettato la legge”, si legge. Il documento sostiene anche che l’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste ha applicato la normativa del 2017 in base alla quale, nei casi in cui non sia stata manifestata la propria volontà con la Dat (Dichiarazione anticipata di trattamento), “la decisione è rimessa al giudice tutelare”. Prima di questa decisione, il medico deve seguire la deontologia professionale e le buone pratiche clinico assistenziali. L’avvocata de’ Manzano ha replicato: “Il giudice tutelare mi aveva già autorizzata all’interruzione delle terapie, il decreto era già esecutivo e completo. Sono stata io a chiedere un’ulteriore udienza e il giudice si è espresso nel senso che nulla ostava alle auto-dimissioni di mio padre. Io l’ho dimesso perché lì non volevano interrompere le terapie, né volevano alla fine neppure permettermi di dimetterlo”.