Non sto a spiegare in termini tecnici cos’è il cosiddetto “Patto di Stabilità”, cioè un accordo tra i partner europei inteso a rispettare certi parametri sui capitoli di spesa dei bilanci statali al fine di evitare lo “sfondamento” di certi livelli di indebitamento oltre i quali una nazione potrebbe incontrare seri problemi a mantenere gli impegni che ha preso con chi gli ha prestato il denaro.
Detto questo bisogna però, anche nel merito dell’evoluzione raggiunta dai sistemi economici di vertice nelle economie globalizzate, valutare l’intero complesso dell’interconnessione economica tra i soggetti coinvolti che non può essere ignorato in nome di una libertà dei mercati che non tiene conto dei riflessi poco positivi e molto negativi che l’attuale sviluppo sta assumendo.
Per dire, non si può più, nel terzo millennio, dove possono e debbono prevalere i maratoneti della spesa pubblica e privata (anche nei casi virtuosi), indispensabili al sostegno della crescita (a sua volta indispensabile per lo sviluppo dei consumi privati e pubblici) punire senza se e senza ma chi, immerso nelle febbri da sviluppo intergenerazionale cerca comunque di stare al passo con partner che per qualunque motivo quella fase l’hanno già almeno in parte superata o comunque si trovano per qualche ragione in vantaggio. Dovrebbe essere chiaro che, in questa fase di transizione da un sistema filo-socialista, che ha consentito di impostare uno sviluppo con una componente prevalentemente sociale, ricca di Welfare-State di cui l’Europa intera è campione mondiale, a una più liberale caratterizzata da maggiore necessità e impiego di capitali, è doppiamente arduo, per chi è in ritardo sui tempi, cercare di recuperare. E comunque è contrario non solo all’ideale ma anche all’interesse di chi vuole fare squadra caricare inutile zavorra su chi deve recuperare terreno. E’ controproducente per tutti.
Non si può, al solo scopo di mantenere impegni più burocratici che sostanziali, perdere di vista l’obiettivo primario, cioè la vera unificazione dell’Europa che, sia pure meno ideologizzata di quella sognata nell’immediato dopoguerra, è oggi, nella nuova dimensione globale dell’economia (ma presto anche della politica, indispensabile per guidare l’economia) necessario per stare al passo dei tempi.
Fossilizzarsi nell’avvio di procedure punitive a carico di una nazione inadempiente (anche facendo finta di non conoscere le molteplici forme di trasgressione già commesse da altre nazioni) è veramente una forma di burocratismo cronico assolutamente inaccettabile in questo millennio e soprattutto in questa fase di indispensabili cambiamenti per la vita stessa del globo.
Oltretutto, non si possono nemmeno ignorare gli insegnamenti pervenutici da altre discipline scientifiche. Come quella, fortunatamente attuata solo per brevi periodi, di “castrare” chimicamente i violentatori seriali e i pedofili. Si è scoperto infatti che, benché l’ostruzione chimica (ma anche e più quella chirurgica) possa impedire fisicamente al soggetto trattato l’atto sessuale, non riesce però a sopprimere contemporaneamente anche l’anormale desiderio che ne è all’origine spingendo in qualche caso il malato a forme anche peggiori di violenza. Col risultato quindi che la castrazione, in qualunque modo venga eseguita, diventa una soluzione equivalente a quella del manicomio per i malati di mente (in certi casi rimedio inevitabile, ma non cura).
Il fatto poi di punire una nazione che sfora i parametri di debito applicando sanzioni di tipo monetario ha poi carattere di alta inadeguatezza alle responsabilità amministrative. E’ come punire uno che ha rubato per comprarsi cibo sequestrandogli i soldi per pagare l’affitto. Se lo mettete direttamente in galera è meglio, no? Almeno saltate un passaggio.
Se questi politici di altissimo livello non arrivano nemmeno a capire cose così semplici è meglio che si occupino d’altro. Una punizione sicuramente più efficace sarebbe quella di far scattare la perpetua ineleggibilità a coloro che, dopo un certo periodo di responsabilità di governo o sottogoverno non siano riusciti a mantenere le promesse fatte, o gli impegni presi con l’assunzione delle funzioni, includendo anche un taglio sostanziale alle guarentigie nel frattempo maturate.